Il conclave del 2025 si apre in un clima di attesa e attenzione, con diversi cardinali che si candidano al soglio pontificio. Tra loro spicca il cardinale malcolm ranjith, un nome che emerge sia per la lunga esperienza ecclesiastica sia per il profilo conservatore legato alla tradizione. Proveniente dallo Sri Lanka, un paese dove la chiesa cattolica sta crescendo nonostante le sfide, ranjith rappresenta una proposta diversa rispetto agli ultimi pontefici, vicino più a Benedetto XVI che a papa Francesco. Questa scelta può interessare chi cerca un papa stabile, fedele alla dottrina, ma anche capace di comprendere le sfide attuali provenienti dal sud del mondo.
La formazione e gli studi di malcolm ranjith
Il cardinale malcolm ranjith, nato nel 1947 a Polgahawela nello Sri Lanka, cresce in una famiglia molto devota e attenta alle tradizioni religiose. È il primogenito di quattro figli, con una madre che lui stesso ricorda come la figura più influente nella sua formazione spirituale. L’ambiente religioso di Polgahawela era fortemente radicato, con la comunità cattolica che manteneva vive le celebrazioni e un profondo legame coi sacerdoti, elementi che hanno contribuito a plasmare fin da giovane il suo percorso.
Studi e formazione
Ranjith ha iniziato gli studi religiosi già a diciotto anni, entrando nel seminario di San Luigi a Borella, ispirato anche dal lavoro di un missionario francese. Dopo un primo anno ha proseguito con filosofia e teologia nel seminario nazionale di Kandy, poi fu inviato a Roma dall’arcivescovo Thomas Cooray. A Roma si laureò in teologia alla Pontificia Università Urbaniana. Nel 1975 fu ordinato sacerdote da papa Paolo VI in piazza San Pietro, esperienza che ha segnato il suo ingresso ufficiale nel sacerdozio. Dal 1975 al 1978 completò gli studi in sacra scrittura al Pontificio Istituto Biblico, dove incrociò insegnanti come Carlo Maria Martini e Albert Vanhoye, che in seguito divennero cardinali. Inoltre frequentò l’università ebraica di Gerusalemme, ampliando così la sua esperienza con culture e lingue diverse.
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Il percorso di ministero e gli incarichi ecclesiastici
Tornato nello Sri Lanka, ranjith si dedicò alla pastorale in un villaggio di pescatori chiamato Pamunugama, dove le condizioni di vita erano molto difficili, senza acqua potabile né elettricità. Questa esperienza gli ha fatto vivere da vicino la realtà della povertà e gli ha dato una prospettiva concreta del ministero.
Nel 1991 papa Giovanni Paolo II lo nominò vescovo ausiliare di Colombo, adottando come motto episcopale “verbum caro factum est”, che riflette la sua idea di una vocazione sacerdotale incarnata nell’amore divino. Quattro anni dopo divenne vescovo di Ratnapura, poi nel 2001 ritornò a Roma come segretario aggiunto della congregazione per l’evangelizzazione dei popoli e presidente delle pontificie opere missionarie. Nonostante mancasse una formazione diplomatica formale, nel 2004 venne nominato nunzio apostolico in Indonesia e Timor Est, con il titolo di arcivescovo.
Nel 2005 papa Benedetto XVI lo chiamò a dirigere la congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, dove lavorò per riportare la liturgia a una forma più conforme alla sacrosanctum concilium, documento chiave del concilio vaticano ii. Nel 2009 tornò a Colombo come arcivescovo e venne creato cardinale nel 2010. Lo stesso anno fu eletto presidente della conferenza episcopale dello Sri Lanka e resta tuttora membro di congregazioni vaticane dedicate alla liturgia e all’evangelizzazione.
Un profilo multilingue e un’esperienza complessa
Malcolm ranjith parla con scioltezza dieci lingue diverse, tra cui italiano, tedesco, francese, ebraico, greco, latino, spagnolo, inglese, singalese e tamil. Nonostante abbia superato l’età canonica per la guida delle diocesi, mantiene una buona salute, fatta eccezione per qualche problema al ginocchio e una infezione da COVID nel 2022.
Il suo profilo è particolare: è un conservatore ma con un bagaglio ricco e variegato, che spazia dalla vita pastorale accanto ai poveri alla gestione di realtà complesse, come nunzio in paesi musulmani o responsabile della disciplina liturgica a livello mondiale. Ha guidato diocesi in momenti delicati, fondato commissioni, insegnato sacra scrittura. Il suo lavoro ha portato a un aumento delle vocazioni e a un’intensa attenzione all’educazione religiosa dei più giovani, tanto da guadagnarsi il soprannome “il vescovo dei bambini”. Si è impegnato infatti per recuperare tradizioni liturgiche formalmente consolidate in Sri Lanka.
Non discutendo temi come matrimonio omosessuale o eutanasia, poco presenti nel dibattito pubblico srilankese, ha però sostenuto posizioni nette, difendendo la vita e opponendosi alla colonizzazione culturale dei valori cristiani. A livello di rapporti ecclesiali, ha mantenuto un dialogo diretto con papa Francesco, pur prendendo le distanze su alcuni fronti: difende la pena di morte in casi estremi, sostiene un capitalismo con concetti etici e rigetta il socialismo. Ha promosso la messa tradizionale in latino e ha vietato alle ragazze di partecipare al servizio liturgico in alcune parrocchie dell’arcidiocesi.
Ranjith sostiene le riforme del concilio vaticano ii, pur con qualche critica. La sua interpretazione della libertà religiosa lo porta ad accettare la costituzione dello Sri Lanka, che assegna un ruolo speciale al buddismo come argine alla secolarizzazione. Tra le sue caratteristiche c’è anche un’acuta sensibilità politica e un rapporto contrastato con le autorità, specie in materia di giustizia. Ha denunciato con forza la gestione degli attacchi terroristici del 2019. È apprezzato per il suo stile diretto e l’impegno contro la corruzione. Sul fronte ambientale condivide con papa Francesco una particolare attenzione.
Il cardinale malcolm ranjith si presenta così come un candidato papabile dall’esperienza vasta e complessa, radicato nella tradizione e attento alle sfide contemporanee della chiesa in Asia e nel mondo.