Le forze dell’ordine mantengono alta l’attenzione sulla banda albanese considerata responsabile di una serie di furti in val di non e nei dintorni della valsugana. Dopo i primi arresti disposti dal gip di Trento, i carabinieri hanno intensificato le ricerche, scoprendo nascondigli e materiali usati nei colpi. Le operazioni, portate avanti con la collaborazione tra le compagnie di Cles e Borgo Valsugana, aggiungono nuovi elementi a un’indagine che mira a fermare definitivamente la rete criminale.
Scoperta di un covo isolato nella valsugana e sequestro di materiali usati nei furti
I carabinieri hanno individuato, in una zona montana appartata della Valsugana, un appartamento usato come base dagli indagati. Questo rifugio è stato per gli inquirenti un punto chiave per raccogliere prove e ricostruire i movimenti della banda. All’interno sono stati trovati indumenti vari, guanti, zaini, oltre a ricetrasmittenti, passamontagna e strumenti da scasso. Tutti oggetti compatibili con l’attività criminale relativa ai furti messi a segno in val di non e zone limitrofe.
Un deposito per il materiale della banda
Il ritrovamento di questi materiali dà un’immagine chiara dell’organizzazione e delle strategie adottate per mettere a segno i colpi. L’appartamento sembrava essere un vero e proprio deposito, da cui i componenti del gruppo si armavano prima di agire. L’attenzione degli investigatori ora si concentra sulla rete di contatti e su eventuali altri nascondigli da cui la banda si è potuta servire nella sua attività.
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Il ritrovamento di un’auto rubata e l’uso di targhe clonate nelle fughe
All’esterno del covo, coperta da un telone, è stata trovata un’auto di grossa cilindrata rubata poche settimane prima nel Milanese. Il veicolo era stato utilizzato presumibilmente durante una fuga dopo alcuni colpi nella zona della Paganella. Questo mezzo montava targhe clonate intestate a un cittadino altoatesino, sempre ignaro della situazione.
Un elemento chiave per le indagini
Ritrovare quest’auto è un elemento importante che si aggiunge al quadro delle prove. La presenza del mezzo vicino al covo rafforza l’ipotesi di una base operativa ben strutturata. Il fatto che le targhe erano false dimostra una pianificazione attenta della banda, capace di nascondere le tracce con l’uso di documenti contraffatti.
Gli investigatori puntano a verificare se altri veicoli rubati sono stati impiegati nei vari furti che si stanno ricostruendo. Così si potrà delineare meglio la rete di mezzi e strumenti della banda, individuando possibili percorsi o altri complici.
Il coordinamento della procura distrettuale e la ricerca di altri complici
Le indagini proseguono sotto la guida della procura distrettuale di Trento. Due membri della banda sono già stati arrestati in esecuzione di un’ordinanza del gip del tribunale locale. Questo passo ha dato un’ulteriore spinta alle attività investigative, che ora si concentrano sull’identificazione degli altri complici e sull’accertamento delle responsabilità per almeno 23 furti accertati.
La collaborazione tra le compagnie carabinieri di cles e borgo valsugana dimostra come le forze dell’ordine stiano lavorando per chiudere il cerchio attorno a questa rete criminale.
Le indagini vertono anche su altri mezzi rubati trovati o sospettati di essere stati usati nei raid. Ogni elemento raccolto viene messo in rapporto con le testimonianze e con le tracce rinvenute sul campo.
L’obiettivo è fermare definitivamente la banda albanese che ha seminato danni e timore in diverse località, specialmente in val di non e valsugana. Le prossime settimane saranno decisive per svelare ogni dettaglio della vicenda e assicurare alla giustizia tutti i responsabili.