Inchiesta su pestaggio in carcere a Sanremo: due detenuti indagati per tentato omicidio

Inchiesta su pestaggio in carcere a Sanremo: due detenuti indagati per tentato omicidio

Due detenuti, un tunisino e un marocchino, accusati di pestaggio e tentato omicidio di Alberto Scagni in carcere a Sanremo, sollevano interrogativi sulla sicurezza penitenziaria e l’intervento della polizia.
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Inchiesta su pestaggio in carcere a Sanremo: due detenuti indagati per tentato omicidio - Gaeta.it

Un’importante indagine è giunta alla sua conclusione con l’individuazione di due detenuti, un tunisino e un marocchino, accusati di numerosi reati in relazione a un grave pestaggio avvenuto nella casa circondariale di Sanremo. L’episodio, verificatosi la sera del 22 novembre scorso, ha visto come vittima Alberto Scagni, un detenuto di 43 anni condannato a 24 anni e 6 mesi di reclusione per l’omicidio della sorella Alice nel maggio 2022. Le accuse nei confronti dei due uomini includono tentato omicidio, sequestro di persona, danneggiamenti, incendio e resistenza a pubblico ufficiale.

Il pestaggio e le ferite di Alberto Scagni

Il pestaggio subito da Scagni ha sollevato interrogativi su come sia potuto accadere un episodio così violento all’interno di un istituto penitenziario. Secondo quanto riportato, il detenuto è stato massacrato di botte dai due indagati, necessitando di un intervento medico che ha portato al ricovero in ospedale, dove è stato posto in prognosi riservata. Le circostanze di questo evento hanno evidenziato potenziali falle nella sicurezza e nella gestione dell’ordine all’interno del carcere, sollevando interrogativi sulla responsabilità degli agenti della polizia penitenziaria.

Rischi per la sicurezza e gestione dell’intervento

Dopo il pestaggio, la famiglia di Scagni ha presentato un esposto alla procura, sostenendo che l’intervento della polizia penitenziaria fosse tardivo. Secondo i denuncianti, se gli agenti avessero agito più tempestivamente, potrebbero aver evitato al detenuto ferite gravi e addirittura la possibilità di una tragedia. È emerso che l’ingresso alla cella era ostacolato da materiali di fortuna, come letti e assi di legno, rendendo difficile l’accesso immediato alle forze dell’ordine.

In aggiunta, è stato riferito che un altro detenuto avrebbe avvisato gli agenti del rischio che il giovane ostaggio potesse essere ucciso se l’intervento fosse avvenuto in quel momento. Le difficili condizioni del momento, insieme all’arma improvvisata in possesso dei due indagati, un punteruolo, hanno indotto gli agenti a prendere la decisione di procedere con cautela, compromettendo ulteriormente la tempestività dell’intervento.

Rinvio a giudizio e archiviazione delle accuse contro la polizia penitenziaria

La procura, dopo diverse valutazioni, ha già presentato richiesta di rinvio a giudizio per i due detenuti indagati. Tuttavia, il pubblico ministero Veronica Meglio ha optato per l’archiviazione della richiesta contro la polizia penitenziaria. Questa decisione ha sollevato nuove discussioni riguardo alle procedure interne e alle misure di sicurezza nelle carceri italiane, richiamando l’attenzione sulla necessità di garantire un ambiente più sicuro sia per i detenuti che per il personale.

La grave situazione evidenziata dall’inchiesta rimane un tema caldo di discussione non solo tra le autorità competenti ma anche tra le organizzazioni e i movimenti per i diritti umani, facendo emergere la complessità dei problemi di sicurezza e gestione all’interno delle carceri italiane.

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