La scarsità di lavoratori qualificati nelle industrie chiave italiane sta assumendo dimensioni preoccupanti proprio mentre il made in Italy continua ad affrontare forti pressioni sul mercato globale. Il governo sta concentrando l’attenzione su politiche di formazione e sviluppo delle competenze per rispondere a questa emergenza, con l’obiettivo di sostenere occupazione e competitività in settori strategici.
Il contesto attuale del mercato del lavoro in italia
Il ministro per le imprese, Adolfo Urso, ha sottolineato come il problema della carenza di figure professionali qualificate interessi vari settori rilevanti per l’economia nazionale. L’assenza di manodopera specializzata rischia di danneggiare la capacità produttiva e la posizione dell’Italia sullo scacchiere economico europeo e globale. Urso ha evidenziato che questa situazione richiede un intervento deciso per non perdere terreno rispetto alle sfide di internazionalizzazione del made in Italy.
I dati recenti confermano uno scenario occupazionale in tensione ma in evoluzione. Dallo scorso ottobre, l’Italia ha visto la creazione di oltre un milione di nuovi posti di lavoro, raggiungendo un record storico di occupazione, che sfiora i 24,3 milioni di persone impiegate. Non solo, la crescita riguarda soprattutto i contratti a tempo indeterminato, che superano i 16,5 milioni. Anche l’occupazione femminile è arrivata a raggiungere quota 10 milioni, segnando un punto di svolta nel mercato del lavoro nazionale. Questi indicatori mostrano un quadro complesso, fatto di progressi ma anche di sfide difficili da affrontare.
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La necessità di colmare il divario tra domanda di competenze e offerta formativa
Nonostante i segnali positivi sul versante occupazionale, il livello di specializzazione delle nuove forze lavoro fatica a tenere il passo con la richiesta delle imprese. Il ministero ha puntato l’attenzione su un problema che riguarda in particolare i settori tecnologici e green: entro il 2027, infatti, il fabbisogno di figure nel campo della meccatronica e dell’informatica dovrebbe superare i 200mila posti, quasi il doppio rispetto agli attuali 115mila. Questo aumento netto evidenzia quanto velocemente si stia ampliando la domanda.
Anche la richiesta di profili con competenze ambientali è cresciuta in modo significativo, spingendo le aziende a cercare professionalità specifiche che spesso risultano difficili da reperire. Per rispondere a tutto ciò, Urso ha insistito sull’importanza di ampliare e migliorare l’offerta formativa, non limitandola solo alle scuole superiori. A tal proposito, ha citato iniziative come il liceo del made in Italy, progettato per avvicinare i giovani alle esigenze concrete delle imprese italiane.
Gli Its vengono indicati come un modello virtuoso per la formazione: i dati di occupazione dimostrano come questi percorsi assicurino un tasso di inserimento lavorativo che arriva fino al 93% degli studenti diplomati. Le università, infine, rivestono un ruolo centrale in questo sistema, con il compito di raccordare ricerca, formazione e sviluppo tecnologico.
Centri di eccellenza e collaborazioni trasversali per potenziare la formazione
Per accelerare il cambiamento, il ministero ha avviato progetti dedicati alla creazione di centri di eccellenza e fondazioni pubblico-private. Queste strutture dovrebbero funzionare da nodi centrali per la diffusione dell’innovazione e del sapere tecnico-scientifico su tutto il territorio nazionale. L’obiettivo è incoraggiare la collaborazione tra università, centri di ricerca e imprese, in modo da fornire percorsi formativi più aderenti alle esigenze reali del mercato del lavoro.
Con questi centri si punta a far incontrare domanda e offerta in modo più diretto. Garantire competenze aggiornate ai lavoratori significa offrire alle aziende un margine di manovra più ampio, accrescendo la capacità di risposta e innovazione. Questo tipo di organizzazione potrebbe attenuare gli squilibri regionali e settoriali che oggi ostacolano la crescita del made in Italy.
L’intervento pubblico supporta così un sistema che bloccava la trasformazione in mancanza di coordinamento. Lo Stato si muove con investimenti concreti, programmando politiche industriali più precise e articolate, proprio per riempire vuoti che da tempo limitano uno sviluppo produttivo coerente e duraturo.
Le sfide e le prospettive per il rilancio del made in italy
Il governo riconosce che la strada da percorrere resta lunga, soprattutto per recuperare le differenze accumulate rispetto agli altri paesi europei. Il divario tra formazione e competenze richieste dalle imprese ha segnato per anni la produttività italiana e la sua capacità di attrarre investimenti esteri. Ora si lavora per cambiare passo, affinché il sistema formativo recuperi terreno e contribuisca a rigenerare la base produttiva.
Le strategie adottate intendono porre al centro l’occupazione stabile e qualificata, senza tralasciare i nuovi segmenti industriali legati alle tecnologie verdi e digitali. Sono settori in grado di generare posti di lavoro, ma che allo stesso tempo richiedono professionalità con un alto livello di specializzazione.
L’attività del ministero e la costruzione di reti tra mondo accademico e industriale rappresentano una risposta concreta alle aspettative di crescita del made in Italy, quanto mai necessaria in un contesto economico globale in fluttuazione. Negli anni a venire si misurerà l’efficacia di queste politiche nel ridurre le distanze attuali e nel sostenere un’economia fondata sul capitale umano qualificato.