“Chi arriva qui o è un valoroso, o è un vigliacco.” Queste parole risuonano nel film “Campo di battaglia”, presentato in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia. Diretto da Gianni Amelio e distribuito da 01 Distribution, il film affronta il tema delle ferite autoinflitte dai soldati per evitare il fronte della Prima Guerra Mondiale, un gesto disperato che affonda le radici nella paura e nel trauma. Con un cast d’eccezione che include Gabriel Montesi, Alessandro Borghi e Federica Rossellini, questa pellicola offre uno spaccato agghiacciante e toccante della vita al fronte.
Autolesionismo e il dramma dei soldati
Le stime sul fenomeno dell’autoinflizione
Il personaggio di Stefano, interpretato da Gabriel Montesi, incarna il rigore e l’intolleranza di molti ufficiali medici dell’epoca, che consideravano gli uomini disposti a ferirsi come vigliacchi. Tuttavia, le statistiche raccontano una storia ben diversa: “Secondo alcune stime le condanne per autolesionismo pronunciate dai tribunali militari furono circa diecimila”, afferma la storica della medicina Eugenia Tognotti, docente all’Università di Sassari. Questo dato mette in luce un dramma umano profondo che coinvolse migliaia di soldati.
Molti di loro, mescolando disperazione e paura, trovavano modi estremi per sottrarsi alla morte imminente nei campi di battaglia. Ferirsi un piede o una mano, schiacciarsi un arto, o persino contrarre malattie gravi, diventavano scelte quasi razionali per molti giovani costretti ad affrontare una guerra che sembrava senza fine. È interessante notare che tali comportamenti presero piede dopo eventi critici come la Seconda Battaglia dell’Isonzo, che avvenne a metà del 1915.
Gli stratagemmi medici e la guerra mentale
Con l’aumento del numero di autolesionismi, i medici militari dovettero adattarsi e imparare a riconoscere i segnali di malessere. In un’epoca in cui le capacità diagnostiche erano limitate, fenomeni come la cecità temporanea o le piaghe causate da iniezioni di sostanze nocive divennero sempre più comuni. La dottoressa Tognotti commenta come questi comportamenti riflettessero la dimensione psicologica della guerra, con il pesante fardello dell’inesorabile stress bellico.
Non fu solo la ferita fisica a caratterizzare questa triste realtà: molti soldati, in cerca di una via d’uscita, ricorrevano a stratagemmi addirittura storici. L’artista Achille, ad esempio, si travestì da donna per sfuggire alla guerra di Troia. Allo stesso modo, durante la Grande Guerra, alcuni giovani si travestirono nel tentativo di evitarsi l’inferno sulle trincee.
Il nemico invisibile dell’influenza spagnola
L’impatto della malattia sulla guerra
Affiancato al tema dell’autolesionismo, “Campo di battaglia” affronta una sfida ancora più insidiosa: l’influenza spagnola. Questa malattia influenzò profondamente il corso della guerra, colpendo soldati e civili su ogni fronte. Eugenia Tognotti evidenzia come il ritardo nelle comunicazioni e la censura della stampa avessero aggravato l’emergenza, rendendo difficile la gestione di una crisi sanitaria che si aggiunse alle già pesanti sofferenze del conflitto.
In Italia, la mancanza di strategie adeguate e l’immobilismo governativo contribuirono alla diffusione del virus, aggravando la già difficile situazione dei soldati. Tognotti sottolinea che questa epidemia non solo mietette vite, ma influenzò anche le decisioni politiche, come quella del presidente statunitense Thomas Woodrow Wilson.
Conseguenze socio-politiche della pandemia
Wilson, impegnato nei negoziati per il trattato di Versailles, fu colpito dall’influenza durante i momenti cruciali della trattativa. Alcuni analisti associano la sua malattia con il fallimento del tentativo di ottenere la pace giusta per la Germania, un evento che potrebbe aver avuto ripercussioni cruciali, portando in definitiva alla Seconda Guerra Mondiale. L’influenza spagnola successivamente divenne parte integrante della storia contemporanea, dimostrando come anche un nemico invisibile potesse cambiare le sorti della guerra.
Campo di battaglia: una riflessione sulla guerra e l’umanità
“Campo di battaglia”, con la sua intensa narrazione e un’approfondita analisi dei temi del conflitto, offre non solo una rappresentazione cinematografica della Prima Guerra Mondiale, ma anche una riflessione su come la guerra influisca sulle vite umane, sul coraggio e sulla vulnerabilità dei soldati. La pellicola invita il pubblico a considerare le complessità del sacrificio e della fuga, in un contesto storico segnato da eventi e situazioni che ancora oggi risuonano nel nostro presente.
Con una produzione firmata da Kavac Film, IBC Movie, One Art e Rai Cinema, il film, sostenuto dalla Regione Friuli-Venezia Giulia e dalla Film Commission Trentino, si propone non solo come un’opera d’arte, ma come un’importante opportunità di riflessione sulle esperienze della guerra e le cicatrici durevoli che essa lascia sulla società.
Ultimo aggiornamento il 8 Settembre 2024 da Armando Proietti