Gli Stati uniti si preparano a richiamare nel proprio paese migliaia di rifugiati provenienti da zone di conflitto, compresi molti ucraini accolti dopo l’invasione russa. Mentre il presidente Donald Trump chiede un cessate il fuoco tra Kiev e Mosca, l’amministrazione americana ha definito un piano per utilizzare centinaia di milioni di dollari destinati agli aiuti internazionali per finanziare rimpatri volontari di migranti attualmente negli Stati uniti. Documenti interni, resi noti da un’importante testata americana, rivelano i dettagli di questa strategia che coinvolge anche persone da Haiti, Afghanistan e altri paesi duramente colpiti da guerre e crisi umanitarie.
Un piano da 250 milioni di dollari per sostenere i rimpatri volontari
Il governo statunitense ha elaborato una proposta per impiegare 250 milioni di dollari, originariamente stanziati come aiuti esteri, al fine di facilitare il ritorno volontario negli stati d’origine di centinaia di migliaia di rifugiati. Tra questi ci sono circa 700mila migranti provenienti da Ucraina e Haiti, paesi segnati da conflitti e disordini da anni. Il piano, in fase di definizione nei mesi passati, prevede incentivi pecuniari e offre supporto logistico ai partecipanti. L’idea è di spingere a un «auto-deportazione» grazie a specifiche app governative alle quali i migranti potranno iscriversi volontariamente ricevendo mille dollari.
Altre nazionalità coinvolte e critiche dell’oim
Oltre agli ucraini e haitiani, il documento citato coinvolge anche altre nazionalità tra cui afgani, palestinesi, libici, sudanesi, siriani e yemeniti. Nel testo si segnala però una contraddizione: l’Organizzazione internazionale per le migrazioni , specializzata in questioni migratorie, non appoggia questi rimpatri verso paesi in condizioni di grave instabilità o pericolo. L’agenzia dell’Onu ritiene che tornare in tali luoghi potrebbe mettere in serio rischio la vita dei migranti.
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La posizione dei dipartimenti di sicurezza e stato
Interpellati su queste informazioni, il dipartimento per la sicurezza interna degli Stati uniti ha dichiarato che i documenti visionati dal giornale erano bozze superate e non rappresentano le decisioni finali. Nonostante ciò, è emerso che la scorsa settimana un accordo formale è stato firmato proprio tra dipartimento di stato e sicurezza interna, dove si dettaglia l’impiego dei fondi esteri a favore dei rimpatri. Nel testo dell’intesa, però, non sono specificate le nazionalità dei migranti interessati dal piano, lasciando margini di incertezza sull’entità dell’operazione per ogni gruppo.
Rischi nei paesi di origine secondo il dipartimento di stato
Il dipartimento di stato continua a sconsigliare i viaggi nei paesi inclusi nel piano di rimpatrio, in particolare in Ucraina e Haiti, dove le condizioni restano pericolose sia per il conflitto armato sia per la presenza di bande criminali e instabilità politica diffusa. Nonostante questo, l’amministrazione americana ha mantenuto per gli ucraini uno status temporaneo di rifugiati dai primi mesi dell’invasione russa, e ai haitiani una protezione analoga ormai rinnovata da oltre un decennio, risalendo al terremoto devastante del 2010.
Critiche e dubbi sulla strategia americana
Esperti e ex funzionari hanno espresso forti riserve in merito all’iniziativa governativa. Le opinioni raccolte definiscono l’uso di fondi per i rifugiati finalizzato a sostenerne il rimpatrio come un passo contrario ai valori umanitari e ai principi della legge americana. Migrare per fuggire da conflitti e calamità è un diritto riconosciuto, e costringere o spingere le persone a rinunciare a uno status legale con incentivi economici mette a rischio soprattutto chi torna in condizioni ancora instabili e pericolose.
Gli esperti ricordano che lo status temporaneo, concesso negli ultimi anni a ucraini e haitiani, tutela le persone finché non esistono le condizioni per un rientro sicuro. Usare i soldi destinati a sostenerli come leva per incoraggiare partenze anticipate ha sollevato polemiche anche a livello internazionale, evidenziando una netta frattura tra obiettivi politici interni e questioni umanitarie.
Aspetti innovativi e criticità della strategia
Il piano per la deportazione volontaria, dalle bozze ai dettagli confermati dall’intesa negli ultimi giorni, evidenzia una gestione del fenomeno delle migrazioni che si basa su strumenti nuovi come applicazioni digitali pagate per indurre i migranti a lasciare gli Stati uniti. La portavoce del dipartimento di sicurezza interna ha definito l’iniziativa come parte dell’agenda del presidente, mirata a «aiutare chi si trova illegalmente» nel paese a rientrare.
Una sfida complessa resta l’applicazione pratica di questi progetti, specialmente nel contesto di persone scappate da conflitti armati e instabilità cronica. In molti casi, non c’è garanzia che i rimpatri avvengano in sicurezza, né che i migranti rinuncino spontaneamente ai diritti acquisiti negli Stati uniti. Mentre Donald Trump porta avanti proposte per la pace tra Ucraina e Russia, il governo americano si trova quindi a muoversi su una linea sottile, cercando di combinare prudenza politica e controlli sull’immigrazione, in un contesto internazionale ancora molto teso.