Su Netflix è disponibile “Dieci minuti”, un film italiano diretto da Maria Sole Tognazzi che affronta la fragilità del dolore e il percorso di ricostruzione personale. La pellicola prende spunto dal romanzo autobiografico di Chiara Gamberale, presentando una narrazione intima in cui piccoli gesti quotidiani cambiano l’esistenza. Al centro della storia c’è Bianca, interpretata da Barbara Ronchi, che attraversa una crisi profonda dopo la fine della sua relazione e la perdita del lavoro. Accanto a lei la dottoressa Giovanna Brabanti, psichiatra si esprime attraverso Margherita Buy, che guida Bianca verso un esercizio di rinascita a piccoli passi.
La trama: un viaggio emotivo tra perdita e ricostruzione
Il film segue Bianca, una donna di trentacinque anni la cui vita si sgretola nell’arco di pochi giorni. Il marito Niccolò la lascia, segnando la fine di una relazione durata diciotto anni. Poco dopo, Bianca perde anche il lavoro da giornalista. Travolta, arriva a un tentativo di suicidio che la porta in ospedale. Qui incontra la dottoressa Giovanna Brabanti, psichiatra e psicoterapeuta cognitivo-comportamentale, che propone a Bianca un modo per ripartire: dedicare ogni settimana dieci minuti a un’attività mai fatta prima.
Questo esercizio diventa un rituale, una sfida quotidiana, capace di trasformare la prospettiva della protagonista. Ogni azione, anche minima, rappresenta un passo verso una nuova consapevolezza e la ricostruzione di sé. La narrazione si muove tra presente e passato, alternando flashback e ricordi che aiutano a svelare le motivazioni profonde della crisi di Bianca e il suo tentativo di rinascita.
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La storia evita qualsiasi forma di drammatizzazione eccessiva, mostrando il dolore con rispetto. Il pubblico attraversa con Bianca momenti di fragilità e ripresa, vivendo un’esperienza coinvolgente ma mai spettacolarizzata.
Il rapporto tra bianca e jasmine: la scoperta di nuovi legami familiari
Un aspetto centrale del film riguarda la relazione tra Bianca e Jasmine, la sorella minore, nata da una relazione extraconiugale del padre. Inizialmente il loro legame è fatto di distanza e diffidenza. Jasmine sembra quasi una figura estranea alla vita di Bianca. Col passare del tempo però, il rapporto evolve da scontro a complicità.
Jasmine diventa un punto di riferimento inatteso, aiutando Bianca a confrontarsi con il passato e con ferite mai completamente rimarginate. Si tratta di un dialogo tacito fra due donne che imparano ad accettarsi, senza cercare colpevoli, ma ascoltando l’altro. Attraverso questo confronto, Bianca affronta omissioni familiari, segreti nascosti e tensioni irrisolte. La storia rifiuta facili giudizi e si concentra piuttosto su ascolto e accoglienza reciproca come strumento di guarigione.
Questo legame nel film appare come una chiave che spalanca nuove porte di significato per Bianca, segnando un punto di svolta nel suo percorso di crescita.
La regia e l’interpretazione: una narrazione intima e senza effetti
Maria Sole Tognazzi, con la sceneggiatura condivisa con Francesca Archibugi, realizza una regia che privilegia la semplicità e l’intensità emotiva. Il film dà spazio ai silenzi, agli sguardi controllati, ai gesti piccoli ma carichi di significato. Ogni inquadratura accompagna Bianca nel suo cammino interiore, senza forzature o effetti scenici.
La fotografia evita esibizioni, mettendo invece in risalto i momenti più delicati della storia. La colonna sonora sostiene senza sopraffare, suggerendo il tono emotivo con gentilezza. Questa scelta rende l’esperienza di visione raccolta, quasi intima.
I protagonisti contribuiscono a dare corpo a questa delicatezza. Barbara Ronchi, nel ruolo di Bianca, mostra una gamma emotiva ampia e credibile. Riesce a trasmettere la sofferenza, i cedimenti e la ripresa di una donna che si ritrova giorno dopo giorno. Margherita Buy interpreta la psichiatra con equilibrio, senza mai scadere nel didascalico, diventando un punto fermo attorno a cui evolve la vicenda.
L’approccio al tema della crisi e della rinascita
“Dieci minuti” non si limita a raccontare un periodo di crisi, ma mette in scena il processo di superamento. Il film mostra come il dolore possa essere vissuto senza nasconderlo, ma soprattutto come si possa imparare a convivere con esso e a ricostruire una nuova normalità.
L’esercizio suggerito dalla dottoressa, quello di dedicare dieci minuti ogni settimana a un’attività nuova, diventa un modo per mettere in moto un cambiamento a piccoli passi. Questi momenti apparentemente insignificanti non sono solo gesti isolati, ma strumenti di riscatto personale.
La pellicola suggerisce che per rinascere non serve rivoluzionare tutto, ma trovare il coraggio di aprirsi a esperienze nuove, alla novità del quotidiano. Quando tutto sembra perso, anche un piccolo passo può aprire strade inaspettate.
Il film lascia il pubblico in compagnia di questo pensiero: è possibile ricominciare, anche se solo per dieci minuti alla volta.