Cassa integrazione per temperature elevate: le nuove indicazioni dell’Inps sul disagio termico nei luoghi di lavoro

Cassa integrazione per temperature elevate: le nuove indicazioni dell’Inps sul disagio termico nei luoghi di lavoro

L’Inps aggiorna le procedure per la cassa integrazione in caso di temperature percepite oltre i 35 gradi, considerando fattori ambientali, dispositivi di protezione e il protocollo caldo per tutelare i lavoratori.
Cassa Integrazione Per Tempera Cassa Integrazione Per Tempera
L’Inps aggiorna le regole per la cassa integrazione in caso di calore eccessivo, includendo la temperatura percepita e le condizioni lavorative, per tutelare i lavoratori esposti a caldo intenso secondo il nuovo protocollo caldo. - Gaeta.it

L’Inps ha aggiornato le procedure per le richieste di cassa integrazione legate alle temperature elevate che possono compromettere lo svolgimento delle attività lavorative. Non basta più giudicare il disagio solo in base alle temperature misurate ufficialmente, conta anche la temperatura percepita e le condizioni in cui operano i lavoratori. Questi chiarimenti arrivano subito dopo la firma del protocollo caldo, che mira a tutelare chi lavora sotto il sole cocente o in ambienti surriscaldati.

Quando scatta la cassa integrazione per temperature percepite oltre i 35 gradi

Secondo il messaggio 2130 pubblicato dall’Inps il 3 luglio 2025, la cassa integrazione può scattare non soltanto in presenza di temperature ufficiali superiori a 35 gradi, ma anche qualora la temperatura percepita dai lavoratori superi questa soglia. Questo significa che se il termometro indica 35 gradi o meno, ma le condizioni ambientali o le attrezzature aumentano la sensazione di calore, può essere comunque ammessa la sospensione o riduzione dell’attività e quindi l’accesso all’integrazione salariale. L’Istituto precisa l’importanza di considerare non solo il dato tecnologico ma anche quello soggettivo, legato alla percezione reale di chi lavora.

Fattori che influenzano la temperatura percepita

La temperatura percepita può variare a seconda del contesto, per esempio quando si lavora su superfici esposte al sole diretto o accanto a macchinari che emettono calore. Anche l’uso obbligatorio di dispositivi di protezione come tute integrali, elmetti o altri DPI fa aumentare la sensazione di caldo. In questi casi il disagio dei lavoratori può risultare molto più alto rispetto a quello indicato dai bollettini meteorologici ufficiali. Per questo motivo, la valutazione dell’accesso alla cassa integrazione non si basa esclusivamente sul dato termico, ma deve tenere conto della tipologia di attività e delle condizioni concrete nelle quali si opera.

Le attività lavorative e i dispositivi di protezione come fattori di rischio

Il messaggio Inps sottolinea che il tipo di attività incide in maniera decisiva sulla capacità di sopportare le alte temperature. Lavorare all’aperto senza possibilità di ombreggiatura espone i lavoratori a un caldo più intenso. Alcuni tipi di produzione prevedono l’uso di macchinari o materiali che, riscaldandosi, aggravano ulteriormente la condizione ambientale già critica. Quando i lavoratori sono obbligati a indossare presìdi protettivi come caschi, tute pesanti o maschere, la sensazione di calore si amplifica e le condizioni di disagio aumentano.

Prescrizioni per la richiesta di cassa integrazione

La combinazione di fattori esterni e protezioni obbligatorie può quindi determinare la necessità di sospendere o ridurre le attività, così da evitare complicanze per la salute dei lavoratori. In questi casi la richiesta di cassa integrazione deve prevedere la descrizione dettagliata della tipologia di mansione, la presenza delle attrezzature utilizzate e le condizioni in cui si svolge il lavoro. Questo permette all’Inps di valutare più precisamente la situazione e di riconoscere il diritto all’integrazione salariale laddove le condizioni oggettive lo giustifichino.

Protocollo caldo e strumenti di tutela contro infortuni e malattie professionali

Le indicazioni contenute nel messaggio dell’Inps arrivano dopo la firma, nell’estate 2025, del cosiddetto protocollo caldo voluto dal ministro del lavoro con le parti sociali. Questo documento mira a promuovere corrette pratiche per evitare incidenti e malattie professionali legate al caldo negli ambienti di lavoro. Il protocollo riguarda sia i datori di lavoro che possono chiedere la cassa integrazione ordinaria , sia quelli che si affidano al Fondo di integrazione salariale o ai Fondi di solidarietà bilaterali.

In particolare, se una pubblica autorità impone la sospensione o la riduzione delle attività per motivi legati al caldo, i datori possono presentare domanda con la causale specifica di “sospensione o riduzione per ordine pubblico”. Se invece è il caldo eccessivo stesso a impedire lo svolgimento normale delle attività, si può richiedere la cassa integrazione con la causale “evento meteo”, riferita alle “temperature elevate”. In questo modo si offre un quadro più chiaro e pratico per tutelare lavoratori e imprese durante le ondate di calore.

Il ruolo dell’umidità e le condizioni al chiuso senza ventilazione

L’Inps spiega che non conta solo la temperatura misurata, ma anche il tasso di umidità presente nell’ambiente. Quando l’umidità è alta, la temperatura percepita tende a salire oltre quella reale. Questo elemento è fondamentale nella valutazione delle richieste di cassa integrazione, specie nelle giornate o nelle fasce orarie in cui si registra elevata umidità insieme al caldo. L’istituto invita a considerare insieme questi due fattori per valutare correttamente il disagio termico.

Ambienti chiusi senza adeguata ventilazione o raffreddamento

Le regole si applicano anche alle attività svolte in ambienti chiusi. Quando questi spazi non possono essere ventilati o raffreddati a causa di circostanze imprevedibili o incompatibili con le lavorazioni, il disagio termico può raggiungere livelli tali da giustificare il ricorso alla cassa integrazione. Ciò accade per esempio in officine, magazzini o linee produttive dove l’impianto di climatizzazione non può essere installato o attivato regolarmente. Anche qui l’assenza di un’adeguata mitigazione del caldo rientra nei parametri per concedere il sostegno economico ai lavoratori sospesi o ridotti nell’orario.

Così l’Inps fornisce un quadro operativo più dettagliato e flessibile per garantire una tutela maggiore a chi soffre in condizioni climatiche estreme sul lavoro, rispettando al contempo il quadro normativo vigente.

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