Un caso giudiziario di rilevanza nell’ambito della sanità ha trovato la sua risoluzione con una sentenza di assoluzione emessa dalla Corte d’Appello di Torino. L’infermiera di Chivasso era stata accusata di lesioni colpose in relazione a un’incidente che ha coinvolto una paziente anziana a seguito dell’esecuzione di un clistere. La sentenza segna un importante ribaltamento rispetto alla condanna iniziale di tre mesi di reclusione, sollevando interrogativi su come la giustizia interpreti le complessità delle procedure sanitarie.
I dettagli della vicenda originaria
La vicenda risale al marzo del 2019 e coinvolge una paziente di 85 anni, ricoverata presso l’ospedale di Chivasso per una frattura al femore. Durante il soggiorno, l’anziana fu sottoposta a due clisteri, una procedura semplice ma delicata, eseguita prima e dopo l’intervento chirurgico. Dopo il secondo clistere, la donna soffrì di una grave perforazione intestinale accompagnata da una lacerazione anale, che resero necessario un intervento d’urgenza finalizzato all’applicazione di una colostomia temporanea.
Dopo l’incidente, la paziente si è costituita parte civile. Sotto la consulenza dell’avvocato Marco Bertuzzi, ha accusato l’infermiera di maldestro espletamento della procedura, ritenendola responsabile del danno subito. L’Asl To4 è risultata essere responsabile civile, condannata a risarcire una provvisionale di 20.000 euro in favore della paziente. Questo passaggio ha potenziato la tensione tra il personale della sanità e le arcane incognite legate alla responsabilità professionale.
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Il verdetto di primo grado e le contestazioni
In primo grado, il Tribunale di Ivrea ha accolto le tesi della Procura, che attribuiva all’infermiera, identificata con le iniziali G.D.P., una condotta negligente e imprudente. Il medico legale, la dottoressa Silvana Temi, aveva messo in luce profili di colpa collegati all’esecuzione del clistere e alla valutazione delle condizioni post-operatorie della paziente. Anche un’anatomopatologa, in veste di consulente, ha confermato che un errore tecnico durante il clistere avrebbe potuto portare alla lesione.
Il giudice Antonella Pelliccia, emettendo la sentenza, sembrava quindi chiudere la questione. Tuttavia, l’avvocato Anania, difensore dell’infermiera, ha presentato appello, contestando numerosi aspetti della ricostruzione accusatoria e immettendo nel dibattito l’idea di una fallacia logica a supporto della condanna.
La decisione della Corte d’Appello
La Corte d’Appello di Torino ha ascoltato le argomentazioni della difesa, sottolineando l’impossibilità di stabilire un nesso causale certo tra l’esecuzione del clistere e la perforazione intestinale. La difesa ha argomentato che il fatto che la perforazione sia avvenuta dopo il clistere non poteva di per sé giustificare l’assegnazione di colpa.
Il giudizio d’appello ha considerato la sentenza di primo grado viziata da fallatio logica. È emerso che la ricostruzione non poteva essere sostenuta da prove scientifiche abbastanza solide per attribuire responsabilità penale. Pertanto, l’infermiera è stata assolta con la formula “il fatto non costituisce reato”, il che ha portato a un cambio di rotta significativo rispetto alla versione dei fatti precedentemente accettata.
Reazioni al verdetto
Il verdetto della Corte d’Appello ha suscitato un’ondata di sollievo tra i colleghi e il personale sanitario dell’ospedale di Chivasso. Gli operatori del reparto di Ortopedia hanno accolto con soddisfazione la decisione, ritenendo che la sentenza possa contribuire a riaffermare l’importanza di un’adeguata valutazione delle prove e delle responsabilità professionali nel contesto sanitario.
Il sindacato degli infermieri Nursind, schierato a sostegno dell’infermiera fin dall’inizio della controversia legale, si è espresso positivamente sul risultato del processo, evidenziando come le decisioni della giustizia debbano essere basate su criteri di oggettività e razionalità, in situazioni tanto delicate come quelle che coinvolgono la salute dei pazienti.