Nel tribunale di Torino si è concluso un processo che ha attirato molta attenzione, riguardante una presunta violenza sessuale su una bambina risalente al 2010. Un uomo di 37 anni è stato assolto perché il fatto non è risultato sufficientemente provato. La vicenda, iniziata con una denuncia dodici anni dopo i presunti abusi, mette in luce le difficoltà che il sistema giudiziario incontra nel trattare casi di abuso su minori con accuse tardive.
I fatti e lo sviluppo del caso
La denuncia è emersa nel 2022, quando la vittima, oggi ventenne, ha raccontato quanto avrebbe subito da bambino durante una visita ginecologica. I presunti abusi sarebbero iniziati nel 2010, quando la bambina aveva solo cinque anni. Quel racconto ha avviato un’indagine penale, affidata alla procura di Torino e alla pm Barbara Badellino. Il pubblico ministero ha chiesto sei anni di reclusione per l’imputato, ritenendo attendibile il racconto della ragazza e la sua coerente esposizione degli eventi.
La difesa e la strategia processuale
L’uomo, che al momento del processo ha 37 anni, è sempre stato difeso dagli avvocati Giuseppe ed Enrica Cosentino. La strategia difensiva si è concentrata nel contestare l’attendibilità della testimonianza della giovane, ipotizzando una suggestione e mancanza di riscontri oggettivi. Dopo aver seguito un rito abbreviato, la giudice Manuela Accurso Tagano ha pronunciato l’assoluzione per insufficienza di prove. La dichiarazione “il fatto non sussiste” ha chiuso la vicenda sul piano processuale.
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La sentenza e il principio di prova nel diritto penale
La sentenza si basa sul cruciale fondamento del diritto penale: la responsabilità deve essere accertata con prove solide, oltre ogni ragionevole dubbio. In questo caso, la giudice ha sottolineato la mancanza di elementi concreti che potessero confermare la versione della presunta vittima. Non ci sono stati testimoni, referti medici dell’epoca o altre conferme materiali. L’unico elemento disponibile era la deposizione della ragazza, frutto di ricordi risalenti a oltre un decennio prima.
La mancanza di prove mette a confronto la necessità di tutelare le vittime di abusi con il diritto della persona accusata a non essere condannata senza certezze. La complessità si acuisce quando le denunce presentate dopo lungo tempo rendono quasi impossibile raccogliere conferme. Questo caso illustra come il giudice debba valutare con attenzione il limite tra testimonianze personali e la dimostrazione fattuale, evitando condanne basate soltanto sul racconto di parte.
Commenti della difesa e accusa
L’avvocato Giuseppe Cosentino, in nome della difesa, ha sottolineato la collaborazione dell’imputato durante le indagini e la totale negazione dei fatti. Secondo la difesa, la giovane sarebbe caduta in uno stato di suggestione psicologica, influenzata da fattori esterni o personali. Alcuni esperti, chiamati a esprimersi, avrebbero rilevato l’assenza di elementi oggettivi nei racconti.
Dall’altra parte, la procura ha mantenuto la convinzione sull’attendibilità della testimonianza. Il quadro accusatorio si basava soprattutto sul racconto della vittima e sulla coerenza nei dettagli riferiti. Tuttavia, senza riscontri esterni tali ipotesi hanno trovato un limite in tribunale. Il confronto tra accusa e difesa ha evidenziato le problematiche del sistema quando si tratta di prove basate quasi esclusivamente sul ricordo soggettivo, soprattutto dopo molti anni.
Le difficoltà nel provare abusi sugli minori a distanza di anni
Questo processo ha messo in luce le sfide del sistema giudiziario nel trattare casi di abuso sessuale su minori che emergono dopo lungo tempo. La mancanza di testimoni, la scomparsa di eventuali tracce mediche o dichiarazioni immediate complica severamente la raccolta di prove concrete. La paura di denunciare e la pressione familiare spesso trattengono le vittime dall’emergere dei fatti, ma questa situazione complica anche la possibilità di accertare la verità.
Nella vicenda torinese, la ragazza avrebbe taciuto per anni per paura di essere allontanata dalla famiglia o per altri motivi personali. Questi elementi rendono ancora più complesso trovare conferme o smentire i fatti. Il giudice si trova a dover equilibrare due diritti fondamentali: quello della vittima a essere ascoltata e quello dell’imputato a non essere condannato senza prove solide. È un sistema che funziona con difficoltà quando si affrontano queste situazioni.
Impatto sul dibattito pubblico
Il verdetto ha diviso l’opinione pubblica, suscitando discussioni sull’efficacia del processo penale nei casi di abuso su minori, soprattutto su fatti risalenti a lungo tempo. La sentenza di assoluzione, seppur giuridicamente netta, lascia aperti interrogativi sui confini tra innocenza e giustizia sostanziale.
Il caso evidenzia la necessità di strumenti più efficaci per raccogliere denunce tempestive e proteggere chi subisce violenze in età infantile. Nonostante la sentenza, rimane la ferita di una storia dolorosa e complessa, che tocca il tema delicato della giustizia nei casi di abuso sessuale. Il processo ha ricordato i limiti, ma anche l’importanza delle garanzie giuridiche per tutte le parti coinvolte nel procedimento.