Violenze e abusi nel carcere di Ivrea: testimonianze scioccanti di un ex detenuto

Violenze e abusi nel carcere di Ivrea: testimonianze scioccanti di un ex detenuto

Il processo contro le guardie del carcere di Ivrea rivela abusi sistematici e brutalità, con testimonianze di detenuti che denunciano un clima di violenza e impunità all’interno della struttura.
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Violenze e abusi nel carcere di Ivrea: testimonianze scioccanti di un ex detenuto - Gaeta.it

Il processo contro le guardie carcerarie del carcere di Ivrea si è arricchito di dettagli inquietanti grazie alle dichiarazioni di un ex detenuto. Accusati di brutalità e abusi sistematici, gli agenti penitenziari sono al centro di un’inchiesta che scava nelle pratiche violente all’interno della struttura. Le parole di Alfio Garozzo, ex pentito e companion della boss Giusy Vitale, hanno messo in luce una realtà tutt’altro che nascosta.

Le dichiarazioni di Alfio Garozzo

Oggi, durante l’udienza, Alfio Garozzo ha presentato un resoconto dettagliato di come venivano trattati i detenuti nel carcere di Ivrea durante il suo periodo di detenzione. La sua testimonianza si è concentrata sulle dure condizioni di vita, enfatizzando come la violenza fosse parte integrante della routine del penitenziario. “Ero nel reparto dei semilibertà. Sapevamo tutti cosa succedeva nell’acquario, dove li massacravano,” ha affermato. Garozzo ha descritto un ambiente in cui le aggressioni avvenivano quasi quotidianamente, alimentando un clima di paura e omertà tra i detenuti.

Le sue parole hanno evidenziato come le violenze non fossero solo una reazione isolata a episodi di disordini, ma un modus operandi diffuso, sistemico all’interno del carcere. Garozzo ha aggiunto: “E’ da pazzi prendere un detenuto e picchiarlo in tre o quattro.” Questa dichiarazione mostra il livello di desacralizzazione della figura del detenuto, ridotto a un oggetto di violenza e prevaricazione, spesso messo a tacere da un apparato penitenziario implacabile. La crudeltà sistematica ha spinto alcuni detenuti a denunciarsi reciprocamente per giustificare le lesioni subite, aprendo così un dibattito su come le autorità abbiano gestito queste pratiche.

L’inchiesta sulla gestione del carcere

L’inchiesta sulle presunte violenze nel carcere di Ivrea ha visto una serie di svolte significative. Originariamente avviata dalla procura di Ivrea, era stata poi archiviata senza ulteriori approfondimenti. Tuttavia, la situazione è cambiata nel febbraio 2020, quando la Procura di Torino ha rilevato il caso su richiesta del garante dei detenuti Paola Perinetto. Questo cambio di rotta ha avviato un’analisi più dettagliata delle violenze, portando alla luce gravissime irregolarità.

Il procuratore Francesco Saluzzo ha evidenziato documentazioni mediche relative a un detenuto in infermeria, segnalato per escoriazioni e sanguinamenti, che aveva riferito di essere stato brutalizzato da agenti della polizia penitenziaria. La Procura di Torino ha contestato la scarsa diligenza dimostrata dagli inquirenti di Ivrea, che si erano limitati a esaminare il registro delle sanzioni senza approfondire le circostanze delle presunte violenze. Il focus sull’operato del Procuratore capo, Giuseppe Ferrando, ha alzato il sipario su una gestione delle indagini che ha lasciato molti interrogativi in sospeso.

L’acquario: una stanza di torture

Una delle aree più temute del carcere di Ivrea è stata descritta come “l’acquario,” una stanza priva di riscaldamento dove venivano perpetrate violenze inaudite. Diverse testimonianze hanno confermato che la struttura era isolata e facilmente accessibile agli agenti penitenziari che volevano esercitare abusi senza possibilità di essere visti. I detenuti, a volte spogliati e lasciati in condizioni degradanti, venivano sottoposti a percosse brutali, con segni evidenti di violenza.

Una lettera firmata da alcuni detenuti testimonia un episodio di violenza avvenuto tra il 25 e il 26 ottobre 2016, quando diversi agenti in assetto antisommossa avrebbero fatto irruzione nelle celle per reprimere una protesta. La testimonianza di Marco Dolce, un detenuto che ha assistito alla violenza, descrive in dettaglio come i prigionieri siano stati brutalizzati, seguiti da un silenzio inquietante il giorno seguente. “I corpi tumefatti e i segni delle percosse erano evidenti,” ha riferito Dolce, sottolineando un clima di paura diffusa e di impunità tra i membri del personale carcerario.

Indagini e abuso di potere

Le indagini condotte dalla Procura di Torino, dopo aver preso in carico il caso, sono state rivelatrici riguardo a un sistema di abuso di potere radicato. Tra i diversi episodi di violenza riscontrati, si annoverano pestaggi di detenuti, alterazione delle cartelle cliniche e referti medici falsificati. Le pratiche brutali erano talmente diffuse che l’ex comandante del carcere, Michele Pitti, ha addirittura descritto le violenze come “contromosse” per coprire eventuali denunce.

I documenti processuali riportano testimonianze di detenuti costretti a subire violenze fisiche, seguite da accuse di resistenza o autolesionismo, creando un circolo vizioso di violenza e leggerezza nelle indagini. Diverse lettere scritte da detenuti evidenziano la necessità di interventi immediati per garantire la loro sicurezza e il rispetto dei diritti umani all’interno della struttura.

La situazione attuale e il futuro del processo

L’inchiesta ha portato a una ventina di indagati, molti dei quali sono già stati prosciolti o assolti. Tuttavia, la vicenda ha acceso un dibattito pubblico su come sia possibile che pratiche di abuso possano continuare a esistere all’interno di un istituto penitenziario e quali misure debbano essere implementate per garantire la sicurezza dei detenuti.

Di fronte a queste evidenze, la comunità si interroga su come affrontare il problema e riformare le istituzioni carcerarie in modo da prevenire abusi futuri. È chiaro che il processo in corso non si limita a giudicare i singoli agenti, ma rappresenta un’opportunità per riqualificare l’intero sistema carcerario, ripristinando la dignità e i diritti umani di chi si trova all’interno.

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