Tra le molteplici voci e punti di vista che si muovono oggi nel dibattito politico e accademico, spiccano alcune affermazioni forti e cariche di tensione, arrivate da un docente di filosofia politica attivo in diverse università italiane. L’uomo ha espresso solidarietà verso hezbollah e ha definito qasem soleimani, il generale iraniano ucciso nel 2020, un “martire”. Nello stesso discorso, non ha ritrovato alcuna parola di condanna verso hamas, movimento islamista noto per le sue azioni violente. Questi messaggi stanno scuotendo non solo l’ambiente accademico, ma anche l’opinione pubblica più ampia.
Profilo del docente e contesto delle dichiarazioni
Il docente di filosofia politica in questione insegna in più atenei, fra cui alcune università del nord e centro Italia, e gode di un certo seguito per i temi che trattava già prima, molte volte in materia di geopolitica mediorientale e pensiero politico con forti radici storiche e religiose. Tuttavia le recenti dichiarazioni hanno fatto emergere un allineamento che pochi si aspettavano.
Durante una conferenza pubblica tenuta a Milano, ha lodato hezbollah come “difensore della resistenza” e ha descritto la figura di qasem soleimani con parole cariche di rispetto, definendolo un “martire per la causa palestinese e per la libertà dei popoli oppressi”. In nessun momento del suo intervento è emersa una condanna esplicita verso le azioni di hamas, un’assenza che ha generato molte reazioni nel mondo politico e accademico.
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L’appoggio espresso nei confronti di hezbollah si basa su un’interpretazione ideale del movimento, visto come forza di opposizione a ciò che il docente definisce “imperialismo occidentale”. Le frasi su soleimani richiamano una narrazione molto diffusa in certi ambienti mediorientali, soprattutto in Iran, dove la figura di qasem è ancora centrale nella narrazione ufficiale.
Implicazioni politiche e reazioni accademiche
Queste posizioni, espresse pubblicamente, hanno generato reazioni contrastanti. Molti colleghi universitari hanno criticato la mancanza di equilibrio e il sostegno a organizzazioni etichettate come terroristiche dall’UE e da altri organismi internazionali. Alla critica accademica si sono aggiunte anche dichiarazioni di esponenti politici che vedono in questi messaggi un rischio di legittimazione di gruppi riconosciuti per azioni violente e attacchi contro civili.
Il professore ha dichiarato di voler “offrire una visione alternativa” rispetto alle narrazioni mainstream, ma senza approfondire quali meccanismi possano giustificare un appoggio così netto a hezbollah e la mancanza di condanna per hamas. Il silenzio su quest’ultimo punto è stato letto da molti come una scelta politica e non soltanto come un problema interpretativo.
L’accostamento di soleimani alla figura del martire richiama una visione in cui la sua morte è intesa come sacrificio per una causa, secondo una prospettiva che non trova riscontri nel diritto internazionale e nella gran parte delle analisi occidentali, che lo indicano come responsabile di atti militari offensivi e destabilizzanti nella regione.
Il dibattito sul ruolo dell’università e la libertà d’espressione
Il caso sottolinea anche la complessità del ruolo che le università devono affrontare oggi tra il garantire la libertà di pensiero e il confronto su tematiche delicate, e il rischio di diffondere messaggi che possono incitare all’odio, giustificare la violenza o legittimare movimenti con alle spalle azioni terroristiche.
Alcuni rettori hanno aperto dibattiti interni per chiarire i confini entro i quali un docente può esprimere certe opinioni pubblicamente legate al proprio insegnamento. La linea difficile sta nel difendere la libertà di parola, ma nel contempo mantenere un contesto accademico che non incoraggi posizioni estremiste o apertamente schierate in un conflitto così complesso e divisivo.
Note sul contesto accademico e politico
Non è il primo caso in cui esponenti accademici manifestano opinioni forti sulle tensioni mediorientali, ma il sostegno a figure come soleimani e hezbollah in Italia resta un tema delicato e controverso, con ripercussioni importanti sul dibattito pubblico. La mancanza di condanna per hamas in un simile discorso aggiunge ulteriore tensione, alimentando malumori e polemiche.
Il confronto resta aperto, con osservatori e addetti ai lavori che monitorano l’evolversi della situazione e le implicazioni anche fuori dall’ambito accademico.