È stato confiscato dallo Stato un patrimonio del valore di circa 50 milioni di euro appartenente a Nicola Di Maio, un noto usuraio napoletano deceduto nel 2014. Questo provvedimento, che si inserisce in un più ampio intervento delle autorità contro l’usura nel territorio campano, ha visto la Guardia di Finanza di Napoli impegnata dal 2012 nel sequestro di beni di rilevante valore, tra cui una famosa Jaguar XJ220.
I beni confiscati e il loro valore
La Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Napoli ha emesso un provvedimento di confisca nei confronti di Di Maio, colpendo non solo lui ma anche i suoi eredi. L’azione legale ha portato alla confisca di oltre 140 immobili, inclusi fabbricati e terreni distribuiti tra le province di Latina, Caserta e Napoli. Tra gli asset confiscati si trovano anche le quote sociali di una struttura alberghiera, tre automezzi, tra cui la costosa Jaguar, prodotta in soli 281 esemplari, e disponibilità finanziarie che superano i 6 milioni di euro.
Il valore dei beni sequestrati è significativo: la Jaguar XJ220, un’icona tra le auto d’epoca, da sola vale più di mezzo milione di euro. Questo eccezionale intervento della giustizia mette in luce il lavoro delle istituzioni nell’affrontare il tema dell’usura, un crimine che ha rovinato la vita di molte persone e mette a repentaglio l’economia locale.
Leggi anche:
L’indagine e le pratiche usuraie di Di Maio
Le indagini riguardanti Nicola Di Maio sono cominciate nel 2011, portando alla luce una strategia di attività usuraia ben strutturata. Gli agenti della Compagnia di Casalnuovo di Napoli hanno scoperto come l’imprenditore gestisse un’officina e una compravendita di veicoli, attraverso i quali attirava clienti, soprattutto autotrasportatori, a cui offriva veicoli a rate particolarmente gravose.
La formula di pagamento, infatti, non era per nulla favorevole per i debitori. Per garantire il pagamento delle rate, gli acquirenti venivano costretti a emettere cambiali e a sottoscrivere un’ipoteca sul mezzo acquistato. Questo mette in evidenza quanto fosse alta la pressione esercitata sugli acquirenti, costringendoli a dare in pegno non solo i mezzi, ma anche la propria libertà economica. In caso di insolvenza, la minaccia di far valere l’ipoteca si univa a una rinegoziazione del debito, ma a tassi di interesse usurari.
Il ciclo di reinvestimento dei proventi illeciti
I proventi ottenuti dall’attività usuraia non venivano soltanto accumulati, ma venivano anche reinvestiti in nuovi terreni, immobili e nelle società alberghiere. Questa strategia di diversificazione ha permesso a Di Maio di espandere il suo impero economico, creando un circolo vizioso dove la continua ricerca di guadagni illeciti alimentava una rete di aziende e beni registrati anche a nomi di familiari per tentare di eludere le forze dell’ordine.
Il modus operandi di Di Maio ha riflettuto una realtà complessa, nella quale il gioco di apparente legalità e illegalità si intreccia, generando una seria minaccia per la comunità locale. Le investigazioni hanno fatto conoscere un mondo in cui l’usura si maschera dietro pratiche commerciali apparentemente normali, ma con un profondo impatto negativo sulla vita di numerosi imprenditori e cittadini.
L’azione dello Stato, tramite le forze dell’ordine e la magistratura, rappresenta una risposta forte e concreta a questi fenomeni. Il sequestro di un patrimonio così ampio non è soltanto una questione di giustizia individuale, ma un segnale di lotta a un sistema di illegalità che ha radici profonde.