Sono circa 26 milioni gli italiani chiamati alle urne per i referendum abrogativi dell’8 e 9 giugno 2025, che riguardano temi importanti come il lavoro e la cittadinanza. Perché possano considerarsi validi, questi referendum devono superare il quorum stabilito dalla Costituzione: votare almeno il 50% più uno degli aventi diritto, circa metà dei 51 milioni iscritti al voto. I promotori, tra cui la Cgil e il comitato per la cittadinanza, dovranno impegnarsi su più fronti per raggiungere questa soglia, che nel nostro Paese rappresenta spesso un ostacolo difficile da superare.
Il quorum nei referendum abrogativi: una soglia difficile da superare
Il quorum, ovvero la percentuale di votanti necessaria perché un referendum si dichiari valido, resta il nodo cruciale per chi promuove queste consultazioni. Su 72 referendum abrogativi, in 39 occasioni il quorum è stato raggiunto, mentre in 33 no. Tra quelli validi, in 23 casi ha prevalso il sì all’abrogazione, mentre in 16 ha vinto il no.
Questo dato non racconta tutta la complessità del fenomeno. Ad esempio, nel referendum del 1974 sul divorzio, il fronte cattolico sperava in una vittoria del no per mantenere la legge, ma fu invece sconfitto. Il quorum è stato rispettato regolarmente tra il 1974 e il 1995, fatta eccezione per il referendum sulla caccia del 1990, che vide una partecipazione attorno al 42-43%.
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In quegli anni, persino Bettino Craxi, che invitava gli elettori a non recarsi alle urne per stoppare le proposte referendarie, non riuscì a invertire la tendenza. Nel referendum del 1991 sulla preferenza unica, promosso da Mario Segni, la partecipazione toccò il 62,5%, con un consenso ampissimo per il sì.
Panorama dei referendum abrogativi in italia: numeri e appuntamenti storici
In Italia, i referendum abrogativi hanno una lunga storia, con 72 quesiti finora sottoposti al voto popolare. Con quelli di giugno 2025 si arriverà a 77 referendum di questo tipo, su un totale di 83 consultazioni referendarie complessive dal 1946, anno del referendum istituzionale che scelse la Repubblica al posto della monarchia.
Il referendum abrogativo più celebre è quello sul divorzio del 1974. L’istituzione di quel voto arrivò dopo l’approvazione di una legge nel 1970 che permise il divorzio, legge che suscitò forti reazioni politiche e sociali. Il quesito sottoposto agli elettori chiedeva una possibile abrogazione di quella legge, sollecitata in particolare dal mondo cattolico. Quel referendum segnò una tappa importante nella vita civile italiana, anche perché portò a un forte dibattito sul ruolo della legge e della coscienza civile nel Paese.
L’andamento del quorum dal 1997 a oggi tra crisi di partecipazione e rare eccezioni
Da fine anni Novanta il superamento del quorum è diventato un problema ricorrente. Dal referendum sulle carriere dei magistrati del 1997 fino all’ultima consultazione del 2022, nessun referendum abrogativo ha raggiunto la soglia richiesta, fatta eccezione per quello del 2011 sull’acqua pubblica, che ottenne un’affluenza del 54,8%.
Questo calo di partecipazione riflette una crescente difficoltà degli elettori a mobilitarsi per voti abrogativi, complicando il lavoro di chi li promuove. Nei dati assoluti, resta però ineguagliato l’afflusso sul referendum sul divorzio del 1974, con un record di partecipazione dell’87,7%. Seguono altri referendum con tassi sopra il 75%, come quelli sul finanziamento pubblico ai partiti del 1978 e 1993, così come le leggi anti terrorismo e aborto del 1981.
Negli anni recenti, invece, le percentuali di voto sono drasticamente calate. Il referendum più recente, quello del 2022 su Csm e magistrati, è rimasto fermo intorno al 20%. Altri esempi sono il referendum del 2009 con il 23,3%, quelli del 2003 e 2005 entrambi intorno al 25%, e quello del 1997 con poco più del 30%. Questo contesto rende ancora più arduo pensare che i referendum di giugno riescano a raggiungere il quorum necessario.
Le sfide immediate per i promotori dei referendum dell’8 e 9 giugno 2025
Per i comitati promotori di questi referendum, tra cui la Cgil e il comitato per la cittadinanza, la tensione è alta. Devono mobilitare preferibilmente un elettorato ampio e variegato, coinvolgendolo su temi delicati e spesso divisivi come il lavoro e i diritti civili. Tra questi eventi, l’elemento chiave sarà la capacità di convincere almeno metà degli aventi diritto, circa 26 milioni di elettori, ad andare alle urne.
Le strategie includeranno campagne informative mirate, sensibilizzazione sui rischi di non votare e sollecitazioni sulle conseguenze pratiche dei quesiti. Nonostante questo, l’esperienza storica mostra come certi referendum, anche di grande attenzione pubblica, rischino di non centrare la soglia della partecipazione. Gli esiti di giugno saranno quindi un banco di prova per la partecipazione popolare e il livello di interesse verso queste forme di democrazia diretta.