Il 31 ottobre 1990, due imprenditori catanesi, Alessandro Rovetta e Francesco Vecchio, sono stati uccisi nel sito delle Acciaierie Megara. Secondo la Procura generale di Catania, la causa è il rifiuto di cedere al racket imposto dalla mafia locale. A seguito del duplice omicidio, la società ha deciso di versare un compenso in nero a Cosa nostra, operazione che ha attirato nuove indagini a oltre trent’anni dai fatti. Nel 2025, l’inchiesta si riapre con un nuovo filone su persone coinvolte nel presunto accordo criminale.
Il duplice omicidio e il ruolo della mafia nel rifiuto del pizzo
Alessandro Rovetta e Francesco Vecchio, imprenditori nelle Acciaierie Megara di Catania, sono stati assassinati il 31 ottobre 1990. L’episodio è stato attribuito alla mafia perché si opposero al pagamento del pizzo. La vicenda si inserisce in un contesto di forte pressione da parte delle organizzazioni criminali sulla rete imprenditoriale locale. La scelta di non sottostare alle richieste estorsive ha portato alla loro morte violenta, episodio che ha segnato la storia industriale e criminale di Catania. La Procura generale ha raccolto elementi che indicano come questo rifiuto sia stata la miccia dell’omicidio, a sottolineare la pericolosità delle strategie criminali adottate.
L’omicidio ha messo in crisi la gestione dell’acciaieria, con conseguenze immediate sul controllo aziendale e sulla presenza mafiosa sul territorio. Le indagini anche più recenti suggeriscono che il clima di terrore era funzionale a tali estorsioni e al mantenimento di un potere occulto sulle attività imprenditoriali. La mafia, da sempre attiva in Sicilia, ha utilizzato questa pratica di intimidazione per imporsi economicamente e socialmente. Non si tratta di un episodio isolato, ma di un metodo consolidato nel tempo.
Leggi anche:
Il pagamento in nero dopo l’omicidio e l’intervento di vincenzo vinciullo
Dopo la morte di Rovetta e Vecchio, la società Acciaierie Megara, passata sotto il controllo della bresciana Alfa Acciai, ha deciso di cedere alle richieste di Cosa nostra. Il pagamento di un miliardo di lire in nero, tratta dalle riserve illegali dell’azienda, è stato il modo per calmare le pressioni della mafia. Secondo l’accusa della Procura di Catania, questo versamento rappresenta il passaggio da un rifiuto a una resa economica forzata, che ha permesso il proseguimento dell’attività criminale.
Il ruolo di mediatore in questo accordo è stato attribuito a Vincenzo Vinciullo, imprenditore messinese ora ottantunenne. Vinciullo, già noto per aver lavorato come agente di commercio per la Megara, avrebbe avuto il compito di negoziare tra i vertici dell’azienda e le cosche mafiose di tre province siciliane: Palermo, Caltanissetta e Catania. Le indagini in corso a Messina hanno portato a una perquisizione eseguita dalla Dia e dalle forze di polizia giudiziaria, che puntano a far luce su dinamiche fino a ora poco chiare.
L’intervento di Vinciullo è al centro dell’inchiesta riaperta, con l’accusa che lo vede come elemento chiave nel rapporto tra industria e mafia. Questo caso dimostra come, anche dopo un violento episodio criminale, la pressione mafiosa sulla gestione economica non si sia affievolita, ma sia continuata per anni.
Il contesto giudiziario, le indagini e le fonti raccolte dalla procura generale di catania
La Procura generale di Catania ha avocato a sé l’inchiesta sull’omicidio Rovetta e Vecchio lo scorso 9 gennaio. Prima di quella data, il fascicolo era stato archiviato più volte, ma nuove prove hanno spinto a una riapertura. Il coordinamento è affidato al procuratore Carmelo Zuccaro e ai sostituti Nicolò Marino e Giovannella Scaminaci. Le indagini puntano a chiarire sia la dinamica degli omicidi sia le connivenze interne alla mafia e all’azienda.
L’indagine si basa su informazioni raccolte dalla Direzione investigativa antimafia e dal Ros, corpo speciale dei carabinieri. Tra le fonti, assume rilievo l’infiltrato Luigi Ilardo, ucciso dalla mafia a Catania, le cui dichiarazioni hanno permesso di ricostruire rapporti e flussi di denaro tra la mafia e la società industriale. Inoltre, un’informativa denominata “Grande Oriente” ha ampliato il quadro, raccogliendo prove sulle attività criminali della famiglia mafiosa di Caltanissetta.
Tra gli elementi più controversi ci sono i cosiddetti “pizzini”, messaggi cifrati che il boss Bernardo Provenzano scambiava con i suoi collaboratori per gestire le estorsioni. Le coordinate di questa corrispondenza includono personaggi chiave come Simone Castello, che facilitavano la trasmissione delle direttive. L’intero procedimento vede un tentativo di far emergere una rete criminale che agiva su più livelli e territori, mettendo a rischio le imprese e la sicurezza di intere comunità.
L’eredità dell’omicidio rovetta-vecchio e la presenza mafiosa nella grande industria siciliana
Il caso del duplice omicidio Rovetta e Vecchio riflette un tema più ampio: la presenza radicata della mafia nelle attività industriali siciliane. Le Acciaierie Megara rappresentano un esempio di come l’economia legale venga colpita da fenomeni criminali. Anche a distanza di anni, le indagini indicano che le logiche mafiose hanno continuato a permeare gli affari, costringendo le aziende a scelte difficili e compromessi non dichiarati.
Le pressioni mafiose hanno finito per influenzare non solo la sicurezza personale ma anche le decisioni economiche e gestionali. I pagamenti in nero e il ruolo di mediatori come Vinciullo sono segnali di come la mafia riuscisse a infiltrarsi nei livelli più alti delle aziende. Ciò ha creato un clima di paura e soggezione, con conseguenze sulla crescita e sulla trasparenza del tessuto industriale locale.
Il rilancio delle indagini nel 2025 dimostra quanto la giustizia continui a lavorare per disarticolare queste reti, cercando di rendere conto anche dei fatti passati spesso rimasti irrisolti. La memoria di Rovetta e Vecchio resta così legata a un momento cruciale di lotta contro le estorsioni e le minacce delle organizzazioni criminali in Sicilia.