Il delitto avvenuto circa due mesi fa ha scosso la comunità di Pianura, un quartiere di Napoli già segnato da episodi di violenza legati al traffico di droga. Gennaro Ramondino, un giovane di 20 anni, è stato assassinato il 1° settembre 2023. La notizia della sua morte ha portato a un’indagine rapida da parte della Procura di Napoli, che ha disposto un processo immediato per tre presunti complici coinvolti nell’episodio. La vicenda è emblematica del terribile connubio tra gioventù e criminalità nel contesto degli spacci di stupefacenti.
I dettagli del delitto
Gennaro Ramondino, originario della zona di Fuorigrotta, fu ucciso in un scantinato di via Comunale Napoli, a Pianura, un luogo che fungeva da base per il traffico di stupefacenti. Le indagini condotte dalla Direzione Distrettuale Antimafia hanno accertato che il giovane è stato eliminato a causa di divergenze nella gestione delle vendite di droga. Secondo le ricostruzioni, il presunto killer, un ragazzo di soli 16 anni proveniente dal rione Traiano, avrebbe usato una pistola rubata da un appartamento di Domenico Di Napoli, uno dei presunti complici attualmente a processo. Di Napoli sostiene di non essere stato a conoscenza dell’uso della pistola.
Le accuse nei confronti degli imputati
Il 4 marzo 2024 ha segnato l’inizio del processo che vede come imputati Paolo Equabile, Nunzio Rizzo e Domenico Di Napoli, accusati di favoreggiamento e copertura del delitto. Pur non avendo partecipato direttamente all’omicidio, Equabile e Rizzo sono stati coinvolti nella fase del post-omicidio, contribuendo al trasporto e all’occultamento del corpo di Ramondino. Questo è stato distrutto in un incendio, appiccato presumibilmente da Di Napoli, utilizzando una Fiat Panda di proprietà della vittima. Le loro azioni hanno messo in evidenza un grado di consapevolezza e volontarietà che ha suscitato l’allerta degli inquirenti.
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Prove e conversazioni intercettate
Le intercettazioni ambientali hanno avuto un ruolo cruciale nel sostenere le accuse formulate contro Rizzo ed Equabile. Quest’ultimo, in una conversazione con lo zio di Ramondino, ha espresso dispiacere per l’accaduto, dichiarando: “Genny non meritava di fare quella fine”. Tuttavia, l’accusa sostiene che le sue parole dimostrano solo una parziale consapevolezza della gravità delle sue azioni. Le dichiarazioni raccolte hanno evidenziato come il coinvolgimento degli imputati fosse intenzionale e non indotto dalla paura.
Altri indagati e fasi dell’inchiesta
Le indagini non si sono fermate ai tre accusati, ma hanno esteso il raggio verso altri quattro sospetti legati alla rete di spaccio. Cristian Cacace, conosciuto come “Capellone”, è ritenuto colui che ha fornito la benzina utilizzata per bruciare il cadavere, mentre Luciano Ivone, noto come “Ciù ciù”, è accusato di aver ripulito il luogo del crimine. In questo contesto, il giudice per le indagini preliminari ha rigettato le richieste di arresto per i vari accusati per mancanza di prove tangibili. Tuttavia, le rivelazioni di un testimone chiave, che ha notato un forte odore di benzina in una Toyota usata per raggiungere il sito dell’incendio, hanno fornito un importantissimo tassello alle indagini.
In attesa che il processo prenda avvio, il caso di Gennaro Ramondino rimane un quadro inquietante di come la criminalità giovanile, alimentata dal traffico di droga, continui a rappresentare una grave problematica sociale in una zona fragile come quella di Napoli. Le conseguenze di tali eventi si riflettono sulla comunità intera, trasformando le strade in teatri di un dramma che, purtroppo, non accenna a fermarsi.