Il 15 agosto 2022 rappresenta una data difficile da dimenticare per i familiari di Alessandro Gaffoglio, un giovane di 24 anni che, all’interno del carcere Lorusso e Cutugno, ha trovato la morte in circostanze tragiche. Questa vicenda ha sollevato numerosi interrogativi su un sistema carcerario che, secondo i genitori della vittima, ha fallito nel proteggere un ragazzo incensurato che già manifestava segni di disagi emotivi. Con l’avvio del processo per omicidio colposo nei confronti della psichiatra del carcere, la questione assume toni di drammaticità e urgenza.
La vicenda di Alessandro Gaffoglio
Alessandro Gaffoglio, un ragazzo di 24 anni, entrato in carcere per due rapine, ha perso la vita dopo aver tentato di porre fine alla sua esistenza in diverse occasioni. I genitori, Carlo Gaffoglio e Monica Fantini, denunciano una grave negligenza da parte dell’istituzione carceraria, affermando che il loro figlio è stato lasciato in una situazione di isolamento e vulnerabilità . Gli avvocati della famiglia, Laura Spadaro e Maria Rosaria Scicchitano, sono stati incaricati di portare avanti una battaglia legale per ottenere giustizia, e il caso sta attirando l’attenzione della società civile.
Alessandro, pur non avendo precedenti penali, ha mostrato segni evidenti di una crisi profonda. Durante il suo soggiorno in carcere, avrebbe dovuto ricevere supporto psicologico e medicinali che potessero aiutarlo, eppure l’abbassamento del livello di sorveglianza da medio a lieve ha sollevato preoccupazioni sulle procedure di sicurezza e cura per i detenuti in stato fragile. La decisione di non somministrare farmaci adeguati è vista come un errore grave, in quanto ha contribuito a creare un ambiente di estrema fragilità per il giovane.
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Il processo e le accuse alla psichiatra
Il processo per omicidio colposo contro la psichiatra del carcere avrà inizio il 25 giugno e rappresenta un momento cruciale per comprendere le dinamiche interne delle istituzioni penitenziarie. Il pubblico ministero Rossella Salvati accusa la dottoressa di aver commesso una grave negligenza, non solo nel cambiare il livello di sorveglianza, ma anche nel non fornire i farmaci necessari. Secondo la tesi incriminante, queste azioni avrebbero avuto un impatto diretto sul tragico epilogo della vita di Alessandro.
Dall’altro lato, la difesa, rappresentata dall’avvocato Gian Maria Nicastro, sostiene che non vi sia un legame causale tra le decisioni della dottoressa e il suicidio del giovane. Secondo la difesa, Alessandro aveva accesso agli oggetti che ha utilizzato per compiere l’atto fatale da giorni, quindi le scelte della dottoressa non sarebbero state determinanti nel corso degli eventi. Questo scontro di argomentazioni pone in evidenza non solo la singolarità della situazione, ma anche un più ampio dibattito sull’adeguatezza delle cure psichiatriche e delle pratiche di sorveglianza in carcere.
Un sistema penitenziario sotto accusa
Il caso di Alessandro Gaffoglio ha riacceso un acceso dibattito sulla condizione delle carceri italiane, specialmente riguardo alla cura dei detenuti con problemi psicologici. Un fenomeno in crescita, quello della spersonalizzazione e della mancanza di supporto per i prigionieri, mette in luce un difetto nel modo in cui vengono gestite le situazioni di crisi all’interno di questi istituti. Il sovraffollamento e la carenza di personale qualificato rappresentano fattori aggravanti nel panorama penitenziario, già di per sé critico.
Si tratta di una situazione che non riguarda solo Alessandro, ma che si estende a molti altri detenuti in condizioni simili, privati della necessaria assistenza. La morte del giovane ha acceso le luci su un sistema che, secondo molti, fatica a prendersi cura dei più fragili. La richiesta per una riforma significativa è diventata un coro unanime tra le famiglie e le associazioni che si battono per i diritti dei detenuti. La battaglia dei genitori di Alessandro non si limita alla loro personale esperienza, ma si amplia per includere tutte le vittime di un sistema che ha bisogno di profondi cambiamenti.
Il processo che si avvicina avrà ripercussioni non solo per i coinvolti, ma rappresenterà anche una presa di coscienza collettiva sulle responsabilità del sistema penitenziario e sull’importanza di garantire la sicurezza e la salute mentale di ogni individuo, anche dietro le sbarre. Una chiamata a riflessione per tutti, affinché tragedie come quella di Alessandro non accadano più.