Il conflitto in Sudan prosegue senza sosta con nuove violenze che colpiscono duramente la popolazione civile. La regione del Kordofan settentrionale è diventata l’ultimo focolaio di sangue, dove centinaia di persone, tra cui bambini e donne incinte, hanno perso la vita negli ultimi giorni. La guerra, che dura da oltre due anni e mezzo, mette a dura prova un paese già scosso da una crisi senza precedenti, rendendo la situazione umanitaria insostenibile per milioni di sudanesi.
Violenze nel kordofan settentrionale: il bilancio delle vittime
Negli ultimi giorni la zona intorno a Bara, nel Kordofan settentrionale, ha subito attacchi che hanno provocato la morte di oltre 450 civili. Tra le vittime si trovano 35 bambini e due donne in gravidanza. Questi fatti sono stati denunciati dalla direttrice generale dell’Unicef, Catherine Russell, che ha definito gli attacchi «orribili» e un segnale di una pericolosa intensificazione degli scontri. La guerra tra l’esercito sudanese e le Forze di supporto rapido non mostra segni di tregua ed è caratterizzata da violazioni gravi dei diritti umani. La crescente insicurezza nella regione ha esasperato le sofferenze della popolazione, privata di protezione e di servizi di base.
Le comunità locali sono prese in mezzo a combattimenti che spesso concludono con azioni indiscriminate contro i civili. Il totale disprezzo verso la vita umana e alle norme del diritto internazionale umanitario emerge con forza da quanto denunciato dalle organizzazioni internazionali, che segnalano come la popolazione civile paghi il prezzo più alto di questo conflitto. L’attenzione mondiale torna così a concentrarsi su un’area tornata a essere teatro di una guerra feroce che produce distruzione e morte.
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Offensive militari in corso in kordofan e darfur
Alle violenze contro i civili si sommano le tensioni militari che si stanno concentrando su due città chiave del conflitto. El Obeid, capoluogo del Kordofan settentrionale, è il prossimo obiettivo delle Forze di supporto rapido. Il loro avvicinamento ha spinto l’esercito a condurre raid per interrompere le linee di comunicazione fra Kordofan e Darfur, regione da cui le Rsf mantengono ampi territori sotto controllo.
Nelle settimane scorse, inoltre, El Fasher, principale città del Darfur settentrionale, è stata assediata dalle Rsf per mesi. Recentemente si sono registrati attacchi che hanno causato vittime civili, inclusi almeno cinque bambini deceduti durante un bombardamento. Le condizioni di vita nella città rimangono drammatiche: l’organizzazione umanitaria Coopi ha segnalato che il 97% degli abitanti non ha accesso a acqua sufficiente.
Questi eventi indicano un ampliamento del conflitto verso nuovi settori, con il Darfur che torna a essere teatro di violenze, e soprattutto con sfollati e residenti che si trovano intrappolati e senza possibilità di fuggire dalle aree colpite.
Importanza strategica del darfur e i rischi per i civili
Il Darfur settentrionale gioca un ruolo cruciale nello svolgimento della guerra. La regione, ricca di risorse minerarie, permette a chi la controlla di alimentare le operazioni militari. Le Rsf hanno riconcentrato le proprie forze nel Darfur dopo la perdita di Khartoum, riorganizzandosi in un territorio segnato da ricorrenti violenze analoghe a quelle note da oltre vent’anni.
L’Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Volker Türk, ha sottolineato come l’aumento delle ostilità in queste zone aggravi i pericoli per la popolazione civile e peggiori la situazione già critica. Solo nel Darfur e nel Kordofan si contano oltre mezzo milione di sfollati, in maggioranza donne, anziani e minori, chiusi in un limbo senza vie di uscita, in particolare dopo la conquista da parte delle Rsf del campo profughi di Zamzam ad aprile.
Le sofferenze di questo popolo si inseriscono in una crisi umanitaria che rappresenta la più grave al mondo. Gli spostamenti forzati, la mancanza di aiuti e la violenza rendono impossibile la normale vita nelle aree coinvolte dal conflitto.
Crisi sanitaria e collasso dei servizi essenziali
L’impatto della guerra va al di là delle sole vittime dirette. L’Onu ha stimato che 30 milioni di sudanesi dipendono dagli aiuti umanitari, con almeno 3 milioni di bambini a rischio di morte per fame. Il sistema sanitario è vicino al collasso: circa il 70% della popolazione non ha accesso alle cure mediche, mentre l’80% degli ospedali risulta inutilizzabile.
Le infrastrutture, le reti di distribuzione e i servizi essenziali sono stati gravemente danneggiati o interrotti dal conflitto. Le condizioni di vita sono peggiorate e la povertà si è diffusa a macchia d’olio. Il processo di transizione democratica, iniziato nel 2019, è fermo, con il paese diviso e in continuo scontro. Gli scontri attuali bloccano qualsiasi forma di negoziato di pace, lasciando la popolazione senza speranza e con poche prospettive di ripresa imminente.
La fragile stabilità del Sudan appare sempre più lontana, mentre gli scenari di riconciliazione rimangono sfuggenti. Di fronte a questa realtà, la comunità internazionale osserva il peggioramento di una crisi che continua a mietere vittime nel silenzio e nella rassegnazione di un popolo stremato.