L’inchiesta pubblicata da «The New York Times» ricostruisce momenti decisivi nella gestione della guerra a Gaza nell’aprile 2024. Da documenti e interviste a funzionari israeliani, americani e del mondo arabo emerge che il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu avrebbe optato per continuare il conflitto anziché accettare una tregua proposta. La scelta sarebbe legata a forti pressioni interne, soprattutto da parte dei ministri di estrema destra, disposti a far cadere il governo pur di evitare una sospensione delle ostilità. L’articolo analizza come questa decisione abbia influito sulla durata del conflitto e sulle condizioni umanitarie nella regione.
Proposta di cessate il fuoco e disponibilità di netanyahu
Secondo la ricostruzione del «New York Times», nell’aprile 2024 Netanyahu era orientato ad accettare un compromesso per fermare temporaneamente la guerra nella striscia di Gaza, dove il conflitto andava avanti da sei mesi ormai. La tregua avrebbe previsto una sospensione degli scontri per almeno sei settimane. Questa pausa avrebbe dato spazio a negoziati per un accordo più duraturo con Hamas e facilitato il rilascio immediato di oltre trenta ostaggi presi il 7 ottobre 2023. L’articolo sottolinea che molte famiglie degli ostaggi auspicavano con urgenza un passo in quella direzione perché non erano certe delle condizioni delle persone nelle mani della fazione islamica.
L’interruzione delle operazioni militari avrebbe inoltre arrestato la distruzione in Gaza. La sospensione delle violenze avrebbe potuto avere impatti importanti sugli equilibri politici e umanitari della regione, limitando gli effetti della devastazione e aprendo possibilità per un dialogo. Il piano, in quel momento, rappresentava una possibilità concreta per ridurre le ostilità e salvare vite.
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Pressioni e minacce della coalizione di estrema destra
Quel periodo era segnato da una coalizione governativa fragile, sostenuta soprattutto da forze politiche di destra radicale contrarie a interrompere la guerra. Netanyahu era sotto processo per corruzione, e la sua posizione politica non era salda. L’inchiesta specifica che durante la riunione di gabinetto a Tel Aviv un ministro molto vicino all’area dell’estrema destra, Bezalel Smotrich, avrebbe minacciato direttamente di far cadere il governo se si fosse accettata la tregua.
Si trattava, spiegano i documenti visionati dai giornalisti, di una scelta cruciale per il primo ministro. Alle 17:44 di quel giorno, Netanyahu si trovò davanti a un bivio: cercare una tregua e rischiare il suo ruolo, oppure continuare la guerra per non perdere la maggioranza. Scelse di mantenere il governo e rinviare il cessate il fuoco. Il ministro delle finanze Smotrich, tra i suoi oppositori, sosteneva un’azione militare più dura, puntando all’occupazione di Gaza piuttosto che a un ritiro.
Reazioni all’inchiesta e situazione attuale a gaza
Dopo la pubblicazione dell’inchiesta, l’ufficio del primo ministro ha risposto con un comunicato in cui definisce l’articolo di «The New York Times» carico di errori politici e calunnie, accusando la testata di diffamare Israele, il suo popolo e lo stesso Netanyahu. Questa dichiarazione cerca di respingere l’idea che la decisione di proseguire la guerra sia stata dettata da ragioni politiche interne.
Nel frattempo la situazione sul terreno non subisce pause. Secondo quanto riporta Al Jazeera, nelle ultime ore a Gaza si sono registrati almeno 60 morti, fra cui molte donne e bambini, a seguito dei raid israeliani. La realtà della guerra appare quindi ancora molto dura ed il conflitto lontano da una soluzione pratica, con continui attacchi e una popolazione civile ancora fortemente colpita.