L'andamento dei ricoveri e dei decessi per Covid-19 ha messo in luce un’anomalia preoccupante riguardante la popolazione di oltre 90 anni. Nonostante un elevato numero di decessi in questa fascia di età, i ricoveri nelle terapie intensive sono praticamente inesistenti. Il virologo Francesco Broccolo dell’Università del Salento analizza i dati riportati dall'Istituto Superiore di Sanità e dal ministero della Salute, ponendo interrogativi su questo apparente mistero.
oltre l'80% dei deceduti ha più di 90 anni
Una delle scoperte più significative è rappresentata dal fatto che nel corso delle ultime settimane oltre l'80% dei decessi per Covid-19 ha avuto più di 90 anni. Secondo i dati del monitoraggio settimanale del ministero della Salute, il tasso di mortalità nella fascia sopra i 90 anni è cresciuto in modo preoccupante, passando da 1 per milione di abitanti a 29 in un ciclo di pochi mesi. Questo dato evidenzia la vulnerabilità crescente di questo gruppo demografico, che nel quadro generale ha visto un tasso di ricovero nei reparti di terapia intensiva stagnare a livello estremamente basso.
Rivolgendo lo sguardo ai ricoveri, si nota che dal 6 maggio al 24 giugno il tasso di ricovero in terapia intensiva per la fascia oltre i 90 anni è rimasto assolutamente nullo, mentre nel periodo successivo si è registrato un incremento leggero, ma sempre insufficiente a giustificare l'alto numero di decessi. Questo porta a riflettere su quali siano le condizioni effettive di salute degli ultra novantenni ricoverati nei reparti ordinari e le conseguenti implicazioni.
“muoiono di più, ma sono pochi i ricoveri nelle rianimazioni”
Un altro aspetto da esplorare è perché, nonostante l'aumento dei ricoveri nei reparti ventilati, il numero di ultra novantenni in terapia intensiva rimanga così basso. Secondo quanto affermato da Broccolo, la malattia nella maggior parte dei casi si presenta in forma lieve o moderata. Infatti, molti di questi pazienti non mostrano sintomi gravi o acuti che richiederebbero un ricovero in terapia intensiva. Questo significa che le loro condizioni cliniche possono essere monitorate adeguatamente nei reparti ordinari.
I dati parlano chiaro: i ricoveri per gli ultranovantenni sono aumentati significativamente in questo periodo, passando da 13 a 173 per un milione di abitanti. Tuttavia, nonostante il crescente numero di ricoveri, è evidente che non vi è corrispondenza con il fattore di gravità che normalmente giustificherebbe un intervento più intensivo. Ciò solleva interrogativi su come il sistema sanitario possa gestire questi casi e su quali criteri vengano applicati per determinare la necessità del ricovero in terapia intensiva.
prevenire con test basati su biomarcatori specifici
La questione della prevenzione gioca un ruolo cruciale nella gestione della salute degli ultra novantenni. Broccolo suggerisce l'utilizzo di test basati su biomarcatori specifici come il suPar, attualmente disponibili ma scarsamente utilizzati nella pratica clinica. Questi test permetterebbero di identificare i pazienti a rischio di sviluppare forme severe della malattia fin dal momento del ricovero.
L'implementazione di queste strategie di screening potrebbe migliorare sensibilmente la predittività clinica e quindi la gestione dei pazienti più vulnerabili. Misurando il livello di attivazione della risposta immunitaria, sarebbe possibile isolare preventivamente i casi a rischio e adottare misure tempestive per dei trattamenti più proattivi. Ciò potrebbe portare a una diminuzione della mortalità tra gli ultra novantenni e migliorare nel complesso l’esito della gestione clinica dei pazienti affetti da Covid-19.
Con un’analisi approfondita e un approccio basato sulla prevenzione, il settore sanitario potrebbe affrontare in modo più efficace questo problema, evitando possibili evoluzioni cliniche sfavorevoli e preservando la salute dei più fragili.