La persistenza del coronavirus: la proteina Spike e i suoi effetti duraturi sul sistema neurologico

La persistenza del coronavirus: la proteina Spike e i suoi effetti duraturi sul sistema neurologico

Nuove ricerche evidenziano la persistenza della proteina Spike nel corpo dopo l’infezione da Sars-CoV-2, suggerendo un legame tra questa e i sintomi neurologici del Long Covid.
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La persistenza del coronavirus: la proteina Spike e i suoi effetti duraturi sul sistema neurologico - Gaeta.it

La scoperta di come il coronavirus Sars-CoV-2 possa continuare a influenzare il corpo umano anche dopo la guarigione ha riaperto il dibattito sui rischi legati al Long Covid. Recenti ricerche hanno documentato la presenza duratura della proteina Spike, anche a distanza di anni dall’infezione. Gli scienziati del centro di ricerca Helmholtz Munich hanno fornito nuove evidenze grafiche su questo fenomeno, evidenziando un quadro preoccupante per il sistema nervoso, in particolare per la zona che collega cranio, meningi e cervello.

Il meccanismo di accumulo della proteina Spike

Un team di scienziati ha analizzato come la proteina Spike possa infiltrarsi e accumularsi nei tessuti cerebrali umani e nei modelli murini. Lo studio, pubblicato su Cell Host & Microbe, ha utilizzato ricostruzioni 3D per rappresentare visivamente il percorso della proteina nel corpo. La ricerca mostra come questa proteina possa permanere nell’organismo per un periodo prolungato, con effetti potenzialmente devastanti. L’accumulo è particolarmente significativo nell’asse cranio-meningi-cervello, suggerendo un meccanismo attraverso cui il Sars-CoV-2 possa influenzare i sintomi neurologici a lungo termine.

Le ricerche hanno dimostrato che la proteina Spike rimane presente anche dopo che il virus è stato eliminato, formando legami con tessuti neurali e influenzando la salute cerebrale. Questi accumuli possono portare a cambiamenti vascolari e infiammatori, contribuendo a sintomi persistenti che caratterizzano il Long Covid. Gli scienziati avvertono che, nonostante i vaccini a mRNA, la proteina continua a presentarsi nel corpo e che la sua rimozione completa non può ancora considerarsi possibile.

La relazione tra proteina Spike e danni neurologici

La presenza della proteina Spike nel cervello ha suscitato preoccupazioni in merito ai danni che può causare. Ricercatori come Ali Ertürk hanno osservato attraverso esperimenti sui topi che l’accumulo di questa proteina è sufficiente a provocare alterazioni patologiche. Questi cambiamenti possono manifestarsi sotto forma di alterazioni comportamentali e una maggiore vulnerabilità del sistema nervoso. La ricerca sottolinea che, anche quando il tessuto cerebrale di alcuni pazienti appare negativo per l’infezione attiva, la proteina Spike continua a operare nel loro organismo.

Lo studio ha rivelato che circa il 60% delle persone che avevano precedentemente contratto Covid mostrano segni di accumulo di proteina Spike nel cranio, anche a lungo dopo la loro guarigione. Questo suggerisce che la sua presenza possa svolgere un ruolo significativo nello sviluppo di sintomi neurodegenerativi e di Long Covid, come la proteina Tau e Nfl, che sono state riscontrate in livelli elevati nel liquido cerebrospinale dei pazienti colpiti.

L’efficacia dei vaccini nel ridurre gli effetti a lungo termine

Un altro risultato interessante della ricerca condotta dal team di Helmholtz è l’effetto di alcuni vaccini, come quello sviluppato da Pfizer-BioNTech, nell’affrontare l’accumulo di proteina Spike. Sebbene l’inoculazione non riesca a eliminare completamente la proteina, è stato documentato che riduce significativamente la sua presenza nel sistema. Questa osservazione supporta l’ipotesi che la vaccinazione possa contribuire a diminuire i danni neurologici associati al Covid, ottimizzando la risposta immunitaria del corpo e limitando le conseguenze avverse nel lungo periodo.

Gli scienziati continuano a esaminare le interazioni tra la proteina Spike e il sistema nervoso, cercando di comprendere meglio i meccanismi alla base delle conseguenze neurologiche che alcuni pazienti continuano a vivere. L’obiettivo finale è non solo quello di capire a fondo il Long Covid, ma anche di identificare strategie di intervento più efficaci che possano ridurre il rischio di problematiche sanitarie durature derivanti dall’infezione coronavirus.

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