La nave di soccorso life support di Emergency ha tratto in salvo altre 21 persone al largo della Libia, portando a 71 il totale degli uomini, donne e minori non accompagnati presenti a bordo. Il soccorso è avvenuto in acque internazionali ma il porto indicato per lo sbarco si trova a oltre 800 miglia nautiche di distanza, un dettaglio che complica la tempestività dell’assistenza sanitaria e dell’accoglienza. La situazione conferma le difficoltà che le navi umanitarie devono affrontare durante le operazioni di salvataggio nel mediterraneo centrale.
Il salvataggio di 21 persone in difficoltà nelle acque libiche
Il 22 luglio, la life support ha individuato una piccola imbarcazione in vetroresina in condizioni precarie poco prima delle 19, durante una missione di pattugliamento nell’area di ricerca e soccorso libica. L’equipaggio ha notato due mezzi, uno dei quali sovraffollato di migranti sprovvisti di giubbotti salvagente, che chiedevano aiuto. Jonathan Nanì La Terra, capo missione della nave, ha spiegato che i soccorritori sono intervenuti immediatamente, calando in mare salvagenti e portando rapidamente le persone in pericolo a bordo.
Tra i 21 naufraghi recuperati, si trovano anche donne, alcuni minori non accompagnati e persone in condizioni vulnerabili. Questa azione si aggiunge ai precedenti 50 soccorsi effettuati quella stessa mattina, portando a 71 il numero di persone presenti sulla life support. È da notare che tre uomini hanno rifiutato l’assistenza e si sono allontanati volontariamente su un altro mezzo presente nella zona, una dinamica spesso riscontrata in situazioni di soccorso migranti.
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Composizione e condizioni dei migranti a bordo della life support
Attualmente a bordo ci sono 71 persone, provenienti da diverse nazioni come Egitto, Eritrea, Somalia, Bangladesh e Myanmar. La presenza di due donne, una delle quali incinta di nove mesi, e quindici minori non accompagnati sottolinea la necessità di un’assistenza sanitaria e umanitaria adeguata e tempestiva. Il personale medico a bordo monitora costantemente lo stato di salute dei migranti, intervenendo in caso di bisogno.
Il team sanitario della life support segnala che le persone mostrano segni di fatica e disagio, in particolare perché hanno sopportato viaggi difficili e condizioni estreme prima del salvataggio. Anche se al momento nessuno versa in condizioni mediche critiche, la permanenza prolungata in mare può provocare un peggioramento dello stato psicofisico, specialmente per i soggetti più deboli o vulnerabili, come la donna in gravidanza e i bambini. Sottolineano che l’attesa prolungata influisce negativamente sul benessere generale delle persone a bordo.
I problemi legati al porto di sbarco indicato e le conseguenze per i soccorsi
Le autorità italiane hanno assegnato come porto di sbarco quello di Ancona, che dista oltre 800 miglia nautiche dal punto del salvataggio. Questo comporta un viaggio di diverse giornate in mare per la life support, durante le quali i migranti restano in condizioni difficili senza avere accesso diretto a strutture sanitarie o servizi di accoglienza. La nave dovrebbe attraccare il 26 luglio attorno alle 13.
Questo tipo di decisione aumenta la durata dell’operazione, esponendo i naufraghi a ulteriore stress e disagio. Carlo Maisano, responsabile del progetto life support, ha evidenziato come portare le navi a porti così distanti costringa gli equipaggi a lunghi tragitti, rallentando il soccorso e aggravando la situazione delle persone salvate. Tale scelta complica anche la logistica delle operazioni umanitarie nel mediterraneo centrale, rendendo più difficile la gestione immediata delle emergenze.
L’attività della life support e le richieste di emergency per una rapida accoglienza
La nave life support, dal gennaio 2024, ha condotto 13 missioni di ricerca e soccorso nella rotta libica, una delle più pericolose. In questi mesi ha percorso quasi 39.000 chilometri e trascorso 139 giorni in mare, intervenendo in 24 operazioni di salvataggio nelle aree SAR libica e maltese. Questi numeri mostrano un impegno continuo nel soccorrere migranti in pericolo prima che annegassero.
Emergency ha ribadito che prolungare i tempi di permanenza delle persone in mare aumenta le sofferenze e impedisce un accesso rapido alle cure. Oltre al danno fisico, il ritardo blocca le procedure per il riconoscimento dello status di protezione e l’avvio dell’accoglienza, elementi fondamentali per la tutela dei diritti di chi fugge da conflitti o condizioni di povertà. Le associazioni e le ONG continuano a chiedere di assegnare porti più vicini ai luoghi di soccorso, per garantire interventi rapidi e condizioni migliori ai migranti che affrontano viaggi rischiosi nel mediterraneo centrale.