Negli ultimi anni, il panorama delle libere professioni in Italia ha visto un significativo aumento della presenza femminile, superando quella maschile. Questo sviluppo è più che un semplice dato statistico: è un indicatore di cambiamento culturale che si sta manifestando non solo nel numero di professioniste, ma anche nelle sfide che affrontano nel loro percorso lavorativo. Un recente studio di Confprofessioni evidenzia come le donne siano diventate protagoniste nel mondo delle professioni autonome. Approfondiamo i dettagli di questa evoluzione.
L’aumento della presenza femminile nelle libere professioni
Negli ultimi quattordici anni, il numero totale dei liberi professionisti in Italia è passato da 1,15 milioni a 1,36 milioni, con un incremento del 18,1%. Analizzando più a fondo, si nota che gli uomini hanno registrato un aumento del 6,5%, mentre le donne hanno visto il loro numero crescere del 49%, con un’aggiunta di oltre 157.000 unità. Questo porta la percentuale di donne tra i professionisti a superare un terzo del totale, concretizzando una realtà che dal 2009 ha evidenziato un passaggio dal 28% al 35%.
L’indagine di Confprofessioni, che verrà presentata a Roma l’11 marzo, sottolinea l’importanza di questo fenomeno, ma si rivela anche un campanello d’allarme riguardo alla disparità di genere nelle libere professioni. La scelta delle donne di intraprendere carriere autonome sembra essere influenzata da una nuova generazione di laureate che evitano le sovrastrutture di occupazione tradizionali, prediligendo l’indipendenza e la flessibilità della libera professione.
Il ruolo delle giovani professioniste
Un aspetto fondamentale del sorpasso femminile si gioca sul piano generazionale. Un numero crescente di laureate sta optando per carriere nelle libere professioni, una tendenza che si evidenzia in vari settori. L’Adepp ha rivelato che nelle professioni ordinistiche, le donne sono già in maggioranza tra le professioniste sotto i 40 anni. Ciò è particolarmente visibile in ambiti come la sanità, dove il numero di donne supera il 70%, mentre nel settore legale e veterinario è rispettivamente al 43,1% e al 40,4%.
Nonostante questa crescita, permane un’ineguaglianza di genere che schiaccia le opportunità delle donne in settori notoriamente maschili. In particolare, nel settore STEM la presenza maschile raggiunge ancora percentuali elevate, con il 76,8% di professionisti di sesso maschile, suggerendo che ci sono ancora numerosi passi da compiere per bilanciare questa disparità. Questa situazione evidenzia un cambiamento culturale che, benché in corso, deve essere sostenuto con misure efficaci che stimolino l’inclusione e la valorizzazione delle donne nei settori meno rappresentati.
La persistente disparità salariale
Sebbene ci siano indicatori positivi riguardo all’aumento del numero di donne nelle libere professioni, la questione del gender pay gap continua a essere una problematica rilevante. A cinque anni dalla laurea, una donna guadagna mediamente il 20% in meno rispetto a un uomo. Questa tendenza è ancor più marcata tra i professionisti ordinistici: nel 2022, le avvocate hanno riportato un reddito medio di poco più di 26.000 euro, meno della metà rispetto ai loro colleghi maschi. Allo stesso modo, i commercialisti donne si trovano ad affrontare un divario medio di oltre 43.000 euro rispetto ai colleghi maschi. Sebbene il gap sia meno accentuato tra le professioni non ordinistiche, resta un tema che richiede un’attenzione costante.
La questione della parità salariale è cruciale per garantire condizioni di lavoro più eque e giuste. È evidente che il contesto economico e le dinamiche del lavoro devono essere rivalutati per garantire un reale equilibrio tra generi. Le istituzioni hanno la responsabilità di intervenire attivamente per colmare questo divario attraverso politiche di sensibilizzazione e misure concrete a sostegno delle donne nel mondo del lavoro.
Il tema della maternità nelle professioni
Uno dei momenti più critici per le professioniste è rappresentato dalla maternità. Un’indagine condotta da Confprofessioni ha rivelato che molte donne si trovano a dover ridurre il loro carico di lavoro o modificare le proprie attività al momento della gravidanza. Contrariamente, il 68% degli uomini ha dichiarato di non aver subito variazioni significative nella loro vita lavorativa. Questo scarto mette in luce le differenze nei ruoli di genere e le barriere strutturali che continuano a persistere nel mondo del lavoro.
Numerose casse previdenziali hanno cercato di affrontare questo tema, introducendo programmi di welfare per le madri come bonus e agevolazioni. Tuttavia, l’efficacia di queste misure è messa in discussione, dato che molte professioniste non sono a conoscenza delle opportunità disponibili. Marco Natali, presidente di Confprofessioni, ha sottolineato l’importanza di migliorare la comunicazione e la rete di supporto tra ordini professionali e casse, in modo da garantire che le risorse destinate al welfare possano davvero raggiungere le donne che ne hanno bisogno.
Le sfide legate alla maternità e al lavoro rimangono una questione centrale nel dibattito sulla parità di genere, con il bisogno di una maggiore consapevolezza e azioni concrete per superare gli ostacoli. La crescente presenza di donne nelle libere professioni rappresenta certamente un passo avanti, ma il cammino verso una reale uguaglianza è ancora lungo e necessita di impegni precisi da parte della società intera.