Le epatiti virali rappresentano una piaga silenziosa, responsabile di oltre un milione di morti ogni anno nel mondo. L’Organizzazione mondiale della sanità ha scelto per il 2025 lo slogan “Hepatitis: Let’s break it down”, che richiama la necessità di superare barriere finanziarie, sociali e di stigma per eliminare queste infezioni e prevenire le loro conseguenze, tra cui il cancro al fegato. Pur essendo prevenibili e curabili, le epatiti restano poco diagnosticate, specie in alcune fasce di popolazione più vulnerabili. L’Italia ha avviato un proprio programma di screening mirato, ma i dati indicano ancora spazi ampi per migliorare.
La situazione delle epatiti virali oggi nel mondo e in italia
Le epatiti causate da virus come hcv, hbv e hdv restano un problema sanitario globale. Ogni anno provocano circa 1,3 milioni di morti legate a complicazioni epatiche come cirrosi, insufficienza e cancro. L’epatite c, in particolare, può essere curata totalmente se diagnosticata in tempo, ma spesso passa inosservata perché asintomatica per anni.
In Italia il quadro è variegato. Al 30 giugno 2024, più di due milioni di persone sono state sottoposte a screening epatite c nelle regioni che hanno avviato programmi mirati. Sono state individuate quasi 15 mila infezioni attive da hcv, ma la copertura dello screening nella popolazione generale selezionata resta minima, intorno al 12%. Solo in Emilia-Romagna, con un 40% di copertura, si registrano risultati significativamente più alti. Questo indica che molte persone, soprattutto quelle più a rischio o fuori dalla portata dei servizi sanitari, rimangono senza diagnosi né cure.
Leggi anche:
I gruppi più esposti sono persone seguite dai servizi per dipendenze, detenuti, e chiunque rientri nelle fasce di età 1969-1989, individuate come più a rischio. L’attenzione resta alta per intercettare l’infezione precocemente ed evitare tante delle complicazioni peggiori.
L’importanza dello screening esteso e mirato
Lo screening rappresenta uno strumento fondamentale contro la diffusione dell’epatite c e le sue conseguenze. Antonio Gasbarrini, professore di Medicina interna all’università cattolica di roma e direttore scientifico della fondazione policlinico universitario gemelli, sottolinea che in italia si stima che oltre 300 mila persone restino inconsapevoli di essere infette. La diagnosi tempestiva consente non solo di curare i pazienti ma riduce la diffusione del virus e le conseguenze a lungo termine.
Gasbarrini evidenzia l’impatto concreto di uno screening più ampio: la riduzione in dieci anni di oltre 5.600 morti, tremila casi di scompenso epatico e 3.500 tumori al fegato rispetto a uno scenario dove i test restano limitati o tardivi. Ridurre questa silenziosa epidemia significa quindi salvare vite e migliorare la qualità di vita di molti.
L’esperienza italiana conferma però che strumenti e fondi dedicati allo screening non bastano se l’adesione resta bassa. È necessario avvicinare le persone con migliori strategie territoriali, coinvolgendo chi vive in condizioni più fragili.
“test in the city”: un progetto per raggiungere le popolazioni più vulnerabili
Per superare le barriere che ancora impediscono l’accesso al test, è nato “test in the city”. L’iniziativa, avviata da gilead sciences in collaborazione con rete fast track cities italiane e relab, ha l’obiettivo di portare lo screening direttamente nei luoghi frequentati da migranti, persone con problemi di dipendenza e altre categorie spesso escluse dal sistema sanitario.
A oggi il progetto coinvolge 14 città italiane e offre test rapidi gratuiti per epatite c, b, delta e hiv in contesti informali come ambasciate, eventi sportivi, centri di accoglienza e luoghi di culto. Paolo Meli, pedagogista e coordinatore dell’iniziativa, spiega che avvicinare le persone nei luoghi in cui vivono o si ritrovano ha aumentato la fiducia e permesso di intercettare infezioni altrimenti non diagnosticate.
Il ruolo del terzo settore emerge in primo piano, capace di sviluppare azioni di prossimità che raggiungono chi spesso si trova in situazioni di marginalità e incontra difficoltà nell’accesso alle cure. Lo screening partecipativo favorisce anche la riduzione dello stigma, elemento chiave per migliorare la salute pubblica.
Risultati iniziali del progetto e sfide nella presa in carico
Dal lancio del progetto “test in the city” sono stati effettuati circa 4 mila test su popolazioni difficili da raggiungere. Circa il 2,5% dei casi è risultato positivo a una o più infezioni . La maggior parte delle persone testate ha età compresa tra 20 e 40 anni e sono per lo più uomini.
Le persone risultate positive sono state indirizzate a centri di cura per esami più approfonditi e la maggior parte ha iniziato un percorso di trattamento. In particolare per chi è risultato positivo all’epatite b si sono attivati o si stanno svolgendo test per la forma delta.
Miriam Lichtner, professore di malattie infettive alla Sapienza di roma, sottolinea che il progetto ha validato modelli di assistenza innovativi basati sulla collaborazione con comunità locali e mediatori culturali. Così si riesce a proporre screening e counseling anche fuori dagli ambienti sanitari tradizionali, abbattendo ostacoli e favorendo l’accesso tempestivo ai servizi pubblici di cura.
Il bisogno di intensificare e ampliare gli interventi nello screening in italia
Nonostante i risultati incoraggianti, la strada per abbattere davvero le epatiti in italia resta lunga. Stefano Fagiuoli, direttore d’unità complessa di gastroenterologia dell’ASST Papa Giovanni XXIII di Bergamo, osserva che al ritmo attuale non sarà possibile rispettare l’obiettivo OMS di eradicare l’epatite c entro il 2030.
Le aree con maggior prevalenza, come servizi per tossicodipendenti e carceri, devono continuare ad aumentare i test. Occorre poi promuovere test opportunistici in ospedali, anche in reparti dove il rischio non è il primo sospetto, e coinvolgere i medici di medicina generale per monitorare e invitare chi non si è ancora sottoposto a screening.
In alcuni territori, l’analisi precoce ha rivelato che oltre un terzo dei positivi ha già danni al fegato avanzati, evidenziando l’urgenza di ampliare e finanziarie le campagne di screening. Non tutti i fondi stanziati sono stati spesi, e la copertura necessita di criteri più estesi e strategie più efficaci sul territorio.
L’impegno di gilead e le prospettive per il futuro
Nel contesto nazionale, gilead ha specificato l’impegno concreto nel sostenere lo screening per le epatiti virali in popolazioni non raggiunte dalla campagna governativa. L’azienda supporta progetti di testing in centri ospedalieri e residenze sanitarie assistite, contribuendo a estendere l’accesso alla diagnosi precoce.
La capacità di individuare chi è infetto e di portarlo rapidamente alle cure resta la chiave per ridurre la diffusione del virus e prevenire complicazioni gravi come la cirrosi e il tumore al fegato. L’esperienza italiana conferma che raggiungere le fasce più fragili con azioni mirate e integrate può migliorare i risultati e avvicinare l’obiettivo dell’eliminazione dell’epatite virale nel prossimo decennio.