L’operazione della DDA di Napoli ha rivelato dettagli allarmanti sul traffico di droga nel Parco Verde di Caivano, dove una rete criminale gestiva piazze di spaccio come se fossero vere e proprie aziende. La recente sentenza della Corte di Appello ha inflitto condanne severe ai membri di questa organizzazione, segnando un passo significativo nella lotta contro il narcotraffico in Italia.
L’organizzazione criminale e la sua struttura
Nel cuore del Parco Verde, i boss della droga operavano con una struttura gestionale quasi imprenditoriale. Le 14 piazze di spaccio note a Caivano erano magistralmente organizzate, con un sistema che garantiva il rifornimento costante di sostanze stupefacenti. Ogni organizzazione locale, i cosiddetti “capi piazza”, erano obbligati a pagare un’affitto mensile di circa 60.000 euro, indipendentemente dalla quantità di droga venduta o da eventuali arresti. Questo schema non solo sosteneva l’attività di spaccio, ma creava un meccanismo di protezione e assistenza legale per i membri coinvolti nel crimine.
La rete operava 24 ore su 24, con pusher e vedette schierate per monitorare e gestire il traffico. I membri più importanti di questa organizzazione avevano infatti accesso a legali pagati e servizi di assistenza che garantivano la continuazione delle operazioni nonostante il rischio di arresto. Questo approccio organizzato ha fatto del Parco Verde una delle piazze di spaccio più estese in Europa, con un giro d’affari stimato attorno ai 100.000 euro ogni mese.
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L’inchiesta della DDA di Napoli
Le indagini condotte dalla DDA di Napoli hanno svelato come l’organizzazione fosse profondamente annidata nel territorio, al punto da rendere il Parco Verde un centro nevralgico per lo spaccio di droga. Un’operazione di grande portata ha portato a un maxi blitz, culminando in oltre 50 arresti, e una mole di prove inoppugnabili contro i membri del clan.
La strategia della DDA ha comportato una serie di intercettazioni telefoniche e appostamenti che hanno immortalato le dinamiche interne del gruppo criminale. Le registrazioni mostrano come ci fosse una vera e propria gerarchia, con gli uomini più influenti che coordinavano le operazioni e pianificavano le attività illecite, ben lontani dall’improvvisazione tipica del crimine di strada.
Il blitz è stato seguito da un lungo processo che ha portato alla condanna di 39 membri, con pene che complessivamente superano i 350 anni di carcere. Le sentenze, arrivate ora con la conferma della Corte di Appello di Napoli, segnano un’importante vittoria per le forze dell’ordine e rappresentano un messaggio inequivocabile per chi vive di crimine.
Le condanne inflitte
Il verdetto della Corte di Appello ha emesso severi giudizi nei confronti di boss e affiliati, con pene che variano da pochi anni di detenzione a condanne molto più lunghe, come nel caso di Nicola Sautto, che ha ricevuto una pena di 27 anni e 8 mesi. Altri nomi noti dell’organizzazione hanno subito condanne che variano da 4 anni a ben 16 anni.
Tra i condannati spiccano Marco Amato, che ha ricevuto 10 anni e 4 mesi, e Carmine Lucarelli, con una pena di 16 anni. Ogni condanna è il risultato di un’attenta valutazione delle prove e testimonianze raccolte durante l’inchiesta. Questa operazione ha scritto una nuova pagina nella storia della lotta al traffico di droga, evidenziando la determinazione delle autorità nel contrastare le reti criminali radicate.
L’impatto di queste condanne va oltre la mera giustizia penale, toccando le corde della sicurezza pubblica e della salute sociale, segnalando che il crimine organizzato può essere affrontato con risultati tangibili.