Il marchio di lusso britannico Burberry ha annunciato un significativo ridimensionamento del personale a livello globale, una decisione che interessa migliaia di lavoratori. Anche in Italia si registrano i primi effetti con licenziamenti previsti soprattutto nelle boutique romane. La scelta aziendale si inserisce in un contesto di rallentamento delle vendite nel settore del lusso e riflette una strategia di riorganizzazione interna.
Posizione dei sindacati e criticità legate ai licenziamenti
I sindacati Filcams Cgil, Fisascat Cisl e Uiltucs hanno preso una posizione netta contro la decisione di Burberry, accusando l’azienda di utilizzare la crisi del settore come pretesto per tagliare il personale. La loro analisi punta su scelte manageriali sbagliate e investimenti che non hanno dato i risultati attesi, portando ora a un calo degli utili.
Tra le richieste avanzate dai sindacati, l’attivazione di ammortizzatori sociali appare centrale. Questa ipotesi è stata respinta dall’azienda che, invece, ha proposto soluzioni ritenute irrealistiche dai sindacati, come la ricollocazione di alcuni lavoratori a Milano Malpensa o la conversione di contratti da full time a part time. L’offerta economica per incentivare l’uscita anticipata è stata giudicata insufficiente da Daniele Meniconi della Fisascat Cisl durante un’intervista con RomaToday.
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La procedura di licenziamento collettivo e i numeri in italia
Burberry ha ufficialmente aperto una procedura di licenziamento collettivo che prevede la riduzione di circa il 20% della forza lavoro globale. In Italia, questo si traduce in 39 uscite confermate con possibilità che si aggiungano contratti a termine non rinnovati. Le comunicazioni sono arrivate ai sindacati e ai rappresentanti dei lavoratori, che hanno evidenziato la portata della crisi che coinvolge anche posizioni fisse e precarie.
A Roma, i licenziamenti riguardano soprattutto lo store di Castel Romano, dove sono previsti 4 esuberi. Questa boutique è una delle poche rimaste nella capitale, dopo la chiusura di negozi emblematici come quello in via dei Condotti, zona storicamente centrale per lo shopping di lusso. Oggi, oltre a Castel Romano, Burberry conta ancora negozi a La Rinascente di via del Tritone e nell’aeroporto di Fiumicino.
La scelta di ridurre organico si lega a un piano di riorganizzazione interna che la stessa azienda ha spiegato come necessaria per migliorare i margini di efficienza. Questo intervento mira a contenere i costi di fronte a un mercato del lusso che sta vivendo una fase di rallentamento evidente, con un impatto significativo sulle vendite.
Negoziati in corso e richieste di alternative occupazionali
Le organizzazioni sindacali hanno rilanciato la richiesta di cercare soluzioni alternative al licenziamento. Il dibattito si apre anche alla luce di alcuni dati recenti che segnalano una ripresa timida ma presente nel comparto del lusso. Tra le proposte avanzate figurano l’uso di ammortizzatori sociali, riduzioni volontarie degli orari di lavoro e forme di incentivo per chi accetta la risoluzione consensuale del proprio contratto.
I sindacati sottolineano quanto sia importante definire un piano chiaro che garantisca la sopravvivenza dei punti vendita e della sede italiana senza scaricare i costi esclusivamente sui dipendenti. È richiesta una strategia condivisa per sostenere i lavoratori e tutelare l’occupazione, evitando tagli drastici che rischiano di compromettere la stabilità del personale.
L’atteggiamento di Burberry, però, non sembra aperto a nessuna di queste forme di mediazione. Le trattative appaiono al momento stagnanti, con un confronto duro tra le parti, senza margini evidenti di accordo.
Stato di agitazione e sciopero imminente nelle boutique italiane
Di fronte all’impasse, i sindacati hanno deciso di alzare il livello dello scontro aprendo ufficialmente lo stato di agitazione in tutti i negozi Burberry sul territorio nazionale. La misura è il preludio a uno sciopero che dovrà essere organizzato a livello locale. Per la capitale, la data e le modalità dell’astensione dal lavoro restano da definire.
Le sigle sindacali ribadiscono che la riorganizzazione aziendale non può essere sostenuta sacrificando i diritti occupazionali di chi lavora nei punti vendita. Lo stato di agitazione vuole mandare un segnale chiaro all’azienda sulla necessità di evitare un taglio netto e negativo sul personale.
Nel frattempo, il confronto resta vivo e sotto monitoraggio, con l’attesa di eventuali sviluppi nelle prossime settimane, mentre i dipendenti attendono risposte su un futuro diventato incerto.