La sentenza di assoluzione per un uomo di 35 anni accusato di violenza sessuale sulla cugina di 14 anni a Livorno Ferraris riapre riflessioni complesse sull’approccio giudiziario alle denunce contro minori. Il pubblico ministero stesso ha chiesto l’assoluzione, sostenendo l’inattendibilità della giovane. Questo caso, risalente a dicembre 2023, è diventato un punto di dibattito sulle garanzie processuali, sul trattamento delle vittime e sulle dinamiche familiari nei procedimenti penali.
I fatti alla base dell’accusa e il contesto iniziale della vicenda
Nel dicembre 2023, a Livorno Ferraris, in provincia di Vercelli, è scoppiato un caso delicato che ha coinvolto un uomo di 35 anni e la sua cugina di 14. Secondo la denuncia, i due sarebbero stati insieme in un ambiente privato dopo aver fumato uno spinello. La ragazza avrebbe perso i sensi, situazione sfruttata dall’uomo per l’abuso. Questi dettagli emergono dalla prima ricostruzione dell’accusa, che ha messo al centro una situazione di vulnerabilità legata al consumo di droga.
La denuncia, tuttavia, non è stata immediata. La giovane ha parlato solo mesi dopo con un’amica, che a sua volta ha coinvolto una seconda coetanea. Quest’ultima ha informato i servizi sociali, che hanno avviato le indagini. Il ritardo nella denuncia ha reso la raccolta delle prove più difficile, contribuendo a creare incertezza sul racconto.
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La vicenda è ambientata in un contesto familiare ristretto, dove i rapporti tra parenti e giovani sono stati sottoposti a stretto scrutinio. L’assenza di segnalazioni tempestive ha complicato l’impianto accusatorio, evidenziando le difficoltà di chi subisce violenze a sciogliere il silenzio.
Le indagini della squadra mobile e la versione della procura
La squadra mobile è intervenuta subito dopo la segnalazione per raccogliere testimonianze e verificare le condizioni dei soggetti coinvolti. L’indagine ha preso una piega controversa fin da subito. Gli investigatori hanno espresso dubbi sull’attendibilità della vittima e delle amiche che l’avevano supportata.
Nei fascicoli ufficiali, le ragazze sono state descritte come abituali utilizzatrici di sostanze stupefacenti e con frequentazioni sessuali definite “promiscue”. Questo linguaggio ha provocato polemiche pubbliche, perché tende a spostare l’attenzione verso la condotta delle vittime, invece che sull’ipotesi di reato.
La procura, guidata dal pubblico ministero Francesco Condomitti, ha ritenuto che mancassero elementi concreti per sostenere un processo. La posizione del pm ha portato alla richiesta di assoluzione, accolta dalla giudice in base all’equilibrio tra testimonianze e prove.
L’assenza di riscontri oggettivi come referti medici, testimoni indipendenti o segni fisici ha pesato molto nel considerare insufficiente l’accusa per un reato tanto grave.
La strategia difensiva e la posizione dell’imputato
La difesa, rappresentata dall’avvocata Francesca D’Urzo, ha contestato la ricostruzione della presunta vittima, puntando sull’incoerenza e sulla mancanza di supporti probatori. Il ritardo nella denuncia e le lacune nel racconto sono stati sfruttati per dimostrare che non sussistono basi solide per portare avanti il procedimento.
L’imputato ha negato con decisione ogni addebito, sostenendo di non aver mai approfittato della cugina né in alcun modo con lei avuto comportamenti illeciti. Il suo racconto non presenta contraddizioni e ha ottenuto credito maggiore, secondo la sentenza.
Questo confronto tra versioni ha rappresentato il nodo centrale del dibattimento. La giudice ha basato la sentenza proprio su questa fragilità delle dichiarazioni e la mancanza di evidenze.
Nuove indagini aperte e implicazioni giudiziarie
Nonostante l’assoluzione in primo grado, l’uomo resta sotto indagine per altri due casi di presunti abusi su minori. Le nuove denunce riguardano episodi diversi, con dinamiche che sembrano presentare qualche punto in comune con quella di Livorno Ferraris.
Al momento non sono stati resi noti dettagli precisi sulle nuove accuse, ma la procura ha già aperto fascicoli distinti. Potrebbero portare a iscrizioni nel registro degli indagati o a misure cautelari, se dovessero emergere elementi che indicano il rischio di ripetizione dei comportamenti contestati.
Questi sviluppi mantengono viva l’attenzione sul caso e sottolineano l’importanza di verifiche rigorose in presenza di accuse gravi e ripetute.
Reazioni pubbliche e dibattito sull’approccio alle denunce di violenza su minori
La sentenza ha suscitato reazioni contrastanti. Da una parte, chi sottolinea la necessità di rispettare la presunzione d’innocenza e fa notare i rischi insiti in accuse non suffragate da prove incisive. Dall’altra, associazioni antiviolenza e operatori sociali criticano il modo in cui vengono trattate le vittime, soprattutto se giovani e vulnerabili.
La definizione di “stile di vita dissoluto” usata per descrivere le ragazze ha aperto un ampio dibattito sull’uso di certi linguaggi che possono inquinare il processo, distraendo dall’accertamento dei fatti e puntando a giustificare o screditare la testimonianza di chi denuncia.
Esperti di psicologia e assistenza sociale hanno ricordato che il ritardo nella denuncia è spesso legato al trauma e alla paura, elementi normali in situazioni di abuso. Questo aspetto viene considerato un segnale di sofferenza piuttosto che di inattendibilità.
La questione rimane aperta: il procedimento ha escluso la responsabilità penale in questa occasione, ma il confronto sulla tutela delle vittime minorenni e le garanzie degli imputati continua ad animare la discussione pubblica e istituzionale.