Peter Sullivan ha trascorso quasi quattro decenni dietro le sbarre accusato dell’omicidio di Diane Sindall, una ragazza di 21 anni uccisa nel 1986 a Birkenhead. Solo nel 2025, la Corte di Appello di Londra ha cancellato la sua condanna, riconoscendo un errore giudiziario tra i più lunghi della storia britannica. La vicenda mette in luce le difficoltà e i rischi legati alle indagini e ai processi penali, specie in casi complessi come quelli legati a violenze sessuali e omicidi.
Il caso di diane sindall e la condanna di peter sullivan
Diane Sindall lavorava come barista e fu assassinata brutalmente mentre tornava a casa nel Merseyside. L’aggressione subita era di natura sessuale, e il caso suscitò grande scalpore all’epoca. Peter Sullivan, oggi 68enne, fu individuato come colpevole e condannato per quell’omicidio nel 1986, poche settimane dopo il fatto. Da quel momento ha passato l’intera vita in carcere, dichiarandosi da sempre innocente. La sua condanna si basava principalmente su prove che, almeno fino a pochi anni fa, sembravano evidenti per la giustizia inglese.
Il processo che portò al carcere di Sullivan riflette le modalità degli anni Ottanta, quando in mancanza di strumenti investigativi avanzati si faceva molto affidamento su testimonianze e indizi indiretti. Il punto centrale del suo caso è sempre stato l’assenza di prove certe che lo collegassero direttamente al delitto di Diane, ma l’opinione pubblica e le autorità rimasero convinte della sua colpevolezza.
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La svolta scientifica grazie ai test del dna e la revisione del caso
La svolta nella vicenda è avvenuta quando la criminal cases review commission, un corpo dello stato incaricato di riesaminare sentenze potenzialmente errate, ha deciso di approfondire il caso su richiesta di nuovi esami. Nel 2024 i test del dna su un campione di sperma recuperato sulla scena dell’omicidio hanno evidenziato un profilo genetico che non apparteneva a Sullivan. Quel risultato ha fornito un elemento concreto a suo favore, mettendo in dubbio tutta la base su cui era stato condannato.
Quella scoperta ha portato la commissione a presentare richiesta formale alla Corte di Appello di Londra per riesaminare la sentenza. Gli avvocati, supportati dalle nuove prove, hanno chiesto l’annullamento della condanna e la scarcerazione immediata. L’intervento della scienza ha così dimostrato come un processo, giudicato irremovibile per decenni, potesse essere ribaltato grazie a un esame più accurato e moderno.
La posizione della procura e la reazione di peter sullivan
Duncan Atkinson Kc, avvocato che ha rappresentato la Procura della Corona, ha riconosciuto pubblicamente che i risultati dei test genetici neutralizzavano le fondamenta della condanna inflitta a Sullivan. Ha per questo escluso la possibilità di richiedere un nuovo procedimento, ritenendo che non vi siano elementi sufficienti a rimettere in discussione la sentenza di annullamento. Le autorità hanno così accettato la revisione, dando l’ok alla sua scarcerazione.
Durante l’udienza, Peter Sullivan era collegato in video dalla prigione di massima sicurezza Hmp Wakefield. È scoppiato in lacrime appena è stato comunicato il verdetto, manifestando un misto di sollievo e dolore per gli anni persi ingiustamente in carcere. La sua storia è un caso emblematico di come la giustizia possa fallire e quanto l’utilizzo di nuove tecnologie investigative possa essere determinante per restituire libertà a chi ha subito un’ingiustizia.
Un caso che riapre il dibattito sulla giustizia penale
Il caso di Peter Sullivan continua a suscitare discussioni su come gestire al meglio le indagini e su quali criteri basare le condanne, soprattutto quando si tratta di accuse gravi come l’omicidio e violenze sessuali. Lavori ufficiali sono in corso per approfondire le cause di quell’errore giudiziario e per evitare simili situazioni in futuro.