La Corte d’Assise di Torino ha emesso una sentenza storica nei confronti di due donne, madre e figlia, accusate di aver ridotto in schiavitù una giovane con disabilità, sottoponendola a gravissime violenze.
Una condanna esemplare
La figlia, 44 anni, è stata condannata a diciotto anni di reclusione, mentre la madre, 68 anni, dovrà scontare dieci anni di carcere. Il marito della donna è stato invece assolto dalle accuse di appropriazione indebita.
Le richieste della pubblica ministero
Durante il processo, la pubblica ministero Antonella Barbera aveva chiesto pene pesanti: undici anni e sei mesi per la figlia, nove anni e due mesi per la madre e altri nove anni di reclusione per un’altra imputata.
Il dramma della giovane vittima
La vittima, oggi 57 anni, fu salvata dai carabinieri nel settembre del 2021, dopo che i vicini avevano udito le sue grida disperate. All’interno dell’appartamento, i militari trovarono la donna con evidenti segni di percosse e denutrizione.
Anni di schiavitù domestica
La vittima, affidata da suo padre alla presunta badante, aveva vissuto in condizioni disumane per circa cinque anni in un appartamento di Nichelino, Torino. Al posto di cure e assistenza, veniva costretta a svolgere lavori domestici, subendo violenze continue.
I maltrattamenti subiti
La giovane era costretta a vivere in condizioni estreme: picchiata con un bastone di ferro, ustionata con il ferro da stiro, legata al letto, costretta a dormire all’aperto o in luoghi inadeguati. Inoltre, veniva privata di denaro e costretta a indossare abiti usurati.
L’orrore scoperto dai carabinieri
Le prime segnalazioni sulle violenze subite dalla vittima risalgono al 2018, quando i carabinieri ricevettero denunce anonime riguardo alle terribili condizioni della casa. Solo nel 2021 intervennero e smascherarono l’orrore vissuto dalla donna.
Giustizia e risarcimento
Le due condannate dovranno far fronte alle spese processuali e risarcire la vittima con una somma significativa, pari a 60mila euro, come forma di giustizia per gli anni di sofferenza inflitti.
Un importante messaggio di speranza
La sentenza della Corte d’Assise di Torino rappresenta un passo fondamentale nella lotta contro gli abusi domestici e la riduzione in schiavitù, mandando un chiaro messaggio che nessuna forma di violenza resterà impunita.
Approfondimenti
- – Torino: Importante città del Nord Italia, capoluogo della regione Piemonte. Centro storico, culturale e industriale, è nota per le sue bellezze architettoniche, i musei e le piazze storiche. È una città ricca di storia e tradizioni, nonché sede di istituzioni giudiziarie importanti come la Corte d’Assise.
– Antonella Barbera: Pubblica ministero che ha gestito il caso delle donne accusate di riduzione in schiavitù. Le richieste di pene pesanti avanzate da Barbera riflettono la gravità dei reati commessi e la volontà di perseguire la giustizia nell’ambito della legge italiana.
– Nichelino: Comune nella città metropolitana di Torino, in Piemonte. La vittima della riduzione in schiavitù è stata tenuta prigioniera in un appartamento di Nichelino, subendo maltrattamenti e abusi per anni.
– Carabinieri: Forza di polizia italiana con compiti di polizia giudiziaria e militare. Sono intervenuti nel caso della giovane vittima di riduzione in schiavitù, salvandola e scovando l’orrore vissuto all’interno dell’appartamento.
Questo articolo evidenzia un grave caso di violenza domestica e riduzione in schiavitù, sottolineando l’importanza della giustizia e della lotta contro gli abusi. Le condanne emesse dalla Corte d’Assise di Torino, insieme al risarcimento alla vittima, rappresentano un segnale forte contro la violenza e un passo avanti nella tutela dei diritti umani.
Ultimo aggiornamento il 3 Luglio 2024 da Sara Gatti