La recente decisione del tribunale di sorveglianza di Firenze ha escluso la possibilità di scarcerazione per una donna di Prato, attualmente condannata a sei anni, cinque mesi e tredici giorni di reclusione per aver abusato del suo studente. Questo caso, emerso in tutta la sua gravità nel 2019, continua a suscitare attenzione e dibattito, mettendo in luce le complicazioni legali e umane che ne derivano.
La richiesta di affidamento ai servizi sociali
Gli avvocati della donna, Mattia Alfano e Massimo Nistri, avevano presentato al tribunale una richiesta per un affidamento in prova ai servizi sociali e per la detenzione domiciliare. La strategia di difesa si basava sulla necessità di garantire un rapporto stretto tra la madre e il suo figlio più piccolo, che ha meno di dieci anni. Gli avvocati sostenevano che la cura materiale e affettiva della madre fosse essenziale per il sano sviluppo del bambino, evitando così che la privazione della figura genitoriale potesse compromettere la sua crescita psicosociale. Nonostante il parere favorevole della procura generale, i giudici hanno ritenuto non opportuno concedere tali misure, limitandosi a permettere solo permessi premio per il colloquio con gli psicologi e le assistenti sociali.
Nel documento del tribunale si spiega come questa opportunità di incontro fosse, in effetti, una “concessione” che, dopo sedici mesi di detenzione, rappresenta un segnale di sostegno mentre la madre affronta un percorso di recupero. Tuttavia, la mancanza di un’affermazione reale della sua figura genitoriale ha alimentato preoccupazioni tra i legali, in quanto il temporaneo allontanamento dalla vita dei figli potrebbe avere conseguenze future significative.
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La situazione familiare della condannata
La donna ha due figli, un ragazzo di 16 anni e una bambina di 7, che vivono con il marito. Quest’ultimo ha riconosciuto entrambi i bambini, di cui il secondo è frutto dell’abuso subito dal suo giovane studente. Nonostante la situazione complessa, la coppia ha tenuto duro, e oggi appare unita, resistendo allo scandalo che li ha travolti nel 2019. Ogni sabato il marito accompagna i figli a far visita alla madre, mentre una videochiamata settimanale dal carcere rappresenta l’unica altra forma di contatto.
Tuttavia, i legali evidenziano le difficoltà incontrate dai bambini, tra cui la privazione della presenza della madre durante eventi significativi come le recite scolastiche. La mancanza di un’immediata attuazione della misura di affido chiesta dagli avvocati ha causato delusione, aprendo un dibattito su come la giustizia possa o debba considerare le esigenze dei minori coinvolti in situazioni così delicate.
Le considerazioni del tribunale di sorveglianza
Nel valutare la richiesta di affidamento, il tribunale ha sottolineato che la madre presenta tratti narcisistici pronunciati, con difficoltà nel riconoscere appieno il danno provocato al giovane vittima dei suoi abusi. Stando all’analisi della psicologa, la donna non sembra riuscire a prendersi le sue responsabilità e tende a giustificare le sue azioni. Questa mancanza di consapevolezza ha pesato sulla decisione dei giudici, i quali hanno preferito non allentare le misure restrittive.
L’avvocato Mattia Alfano ha dichiarato che ci si aspetterebbe una valutazione più approfondita del percorso notevolmente complesso della detenuta, rilevando che le leggi esistenti tutelano i minori e dovrebbero influenzare le decisioni riguardo alla continuità delle relazioni familiari. La delusione espressa dai legali potrebbe portare a un ricorso in Cassazione, sugli sviluppi del quale gli osservatori attendono di scoprire come la giustizia si relazionerà alle esigenze di un minore e del suo diritto a una madre.
Questo caso rimane emblematico delle fragilità umane e legali, sollevando interrogativi su come gestire situazioni così complesse nel contesto della giustizia penale e della tutela dei più vulnerabili.