Una manifestazione di protesta ha avuto luogo oggi, 22 novembre, intorno a mezzogiorno, di fronte al Ministero dell’Istruzione e del Merito in via Trastevere, a Roma. Tre attivisti del movimento “Bruciamo Tutto” hanno inscenato un’azione nonviolenta, attirando l’attenzione su temi legati alla violenza di genere e al patriarcato. L’evento ha suscitato l’intervento delle forze dell’ordine, che hanno interrotto la manifestazione.
Manifestazione caratterizzata da vernice e messaggi chiari
Le attiviste hanno scelto di esprimere il loro dissenso lanciando palloncini riempiti di vernice rossa, gialla e viola contro la facciata dell’edificio, lasciando segni visibili sull’ingresso principale. Durante l’azione, una di loro ha srotolato uno striscione identificativo del movimento, chiarendo il messaggio e il legame con il gruppo di protesta.
Il movimento “Bruciamo Tutto” ha preso posizione contro le affermazioni del Ministro Valditara, che ha descritto il patriarcato come un’ideologia e ha attribuito al fenomeno dell’immigrazione un ruolo nella violenza di genere. “Non possiamo rimanere indifferenti”, hanno dichiarato le attiviste, evidenziando come tali dichiarazioni contribuiscano a rendere invisibile una problematica che colpisce molte persone nel Paese.
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La questione del patriarcato nella legislazione italiana
Il gruppo ha presentato un’analisi che dimostra come il patriarcato non sia stato superato neanche dopo importanti riforme. Per esempio, fino al 1981, secondo quanto stabilito nell’articolo 544 del Codice Penale, se un uomo avesse sposato una donna dopo averla stuprata, il reato sarebbe stato estinto automaticamente. Solo nel 1996 lo stupro è stato riconosciuto per legge come reato contro la persona e non più contro la moralità pubblica. Inoltre, nel 2001 si è finalmente ufficializzato il reato di violenza carnale all’interno delle relazioni familiari.
Queste problematiche, che risalgono a tanto tempo fa, non sembrano essere ancora risolte, con il movimento che ritiene necessario un cambio culturale profondo e una riforma legislativa che possa affrontare le radici del problema.
Femminicidi: una realtà inaccettabile
Il movimento “Bruciamo Tutto” ha portato alla luce dati recenti dall’Istat che indicano come il 93,9% dei femminicidi in Italia sia commesso da autori di nazionalità italiana. Questa informazione smonta l’idea che l’immigrazione sia un fattore aggravante nella violenza di genere, come sostenuto dal ministro. Dal 2002, il numero totale di omicidi è diminuito, ma i femminicidi continuano a essere un fenomeno preoccupante e in crescita.
Nel 2024, sono già stati registrati 88 femminicidi, con uomini responsabili del 92,7% delle uccisioni di donne. Il movimento critica la mancanza di riconoscimento del patriarcato come causa sistemica di tali violenze da parte delle istituzioni e del governo, evidenziando la necessità di un maggiore impegno nella lotta contro la violenza di genere.
Un movimento per il cambiamento culturale
“Bruciamo Tutto” si identifica come movimento transfemminista di liberazione, mirato a combattere un sistema patriarcale che perpetua molestie, violenze e omicidi. L’azione di oggi serve non solo a sensibilizzare su una questione di emergenza sociale, ma anche a sottolineare un’inadeguatezza della risposta governativa. La cronaca recente, compresi casi di alto profilo come il femminicidio di Giulia Cecchettin, ha evidenziato l’urgenza di un intervento significativo.
Il movimento sottolinea la necessità di avviare una trasformazione culturale che inizi dall’istruzione e prosegua con misure legislative per garantire a tutte le donne, indipendentemente dalla loro identità di genere, una vita libera dalla violenza.
Le richieste delle attiviste
Le attiviste hanno formulato richieste specifiche, tra cui un aumento del già esistente reddito di libertà. Chiedono un contributo mensile di 400 euro per un periodo massimo di 12 mesi alle donne in situazioni di violenza, supportate dai centri antiviolenza. Secondo loro, il lungo processo burocratico per accedere a queste misure deve essere snellito e riformato in modo da rispondere davvero ai bisogni delle persone che necessitano di supporto.
La loro strategia include l’uso della disobbedienza civile nonviolenta per ottenere il cambiamento desiderato, affrontando anche le potenziali conseguenze legali di tali azioni. La richiesta di ascoltare e coinvolgere direttamente le sopravvissute è al centro della loro battaglia per una nuova legislazione più adatta alla realtà delle donne vittime di violenza.