Un tragico evento ha scosso la comunità di Terno d’Isola, dove la giovane Sharon Verzeni è stata vittima di un’azione violenta la notte tra il 29 e il 30 luglio. Il caso ha preso una piega decisiva grazie alla testimonianza di due giovani italiani di origine marocchina, i quali, durante una normale sessione di allenamento notturno, hanno fornito agli investigatori elementi cruciali per l’identificazione del presunto assassino, Moussa Sangare, un 31enne di origini maliane.
La sequenza degli eventi: un’allenamento notturno
Nella notte del delitto, i due testimoni, un venticinquenne che lavora in un negozio di abbigliamento e un ventitreenne autista per un grande magazzino, avevano deciso di uscire per allenarsi. Entrambi praticano sport a livello amatoriale: kickboxing e calcio. I due si erano recati a Chignolo, nei pressi di una farmacia e di un cimitero, con l’intento di eseguire alcune flessioni. La loro attività si è rivelata casualmente decisiva per le indagini sull’omicidio di Sharon Verzeni.
Ricordando quei momenti, i due giovani hanno spiegato agli inquirenti che erano circa mezzanotte quando hanno notato il passaggio di tre uomini in bicicletta. Tra di essi, uno in particolare ha attirato la loro attenzione: si trattava di un soggetto con una bandana in testa, un cappellino, uno zaino e occhiali da sole. “Ci ha fissato a lungo e poi ha fatto una smorfia. Non lo avevamo mai visto prima,” hanno affermato. La loro descrizione è stata fondamentale per permettere ai carabinieri di indirizzare le indagini verso Moussa Sangare.
Il valore della testimonianza: un atto di responsabilità
La testimonianza dei due giovani non solo ha portato all’arresto di Sangare, ma ha anche scatenato un senso di orgoglio e responsabilità in loro. “Ci sentiamo utili, soddisfatti di aver contribuito all’identificazione dell’assassino,” hanno dichiarato i giovani dopo aver appreso del fermo. La loro consapevolezza di aver svolto un ruolo importante in un caso così delicato e drammatico è stata chiaramente espressa, così come il desiderio di trasmettere un messaggio di integrazione e alleanza.
Entrambi i testimoni hanno riflettuto sul fatto che, sebbene Sangare sia di origini straniere, anche loro lo siano, avendo ottenuto la cittadinanza italiana a quindici anni. “Vogliamo far riflettere sul fatto che non tutti gli stranieri sono criminali. Spesso siamo noi a contribuire positivamente alla nostra società. Senza la nostra testimonianza, forse l’assassino sarebbe ancora in libertà,” hanno affermato, sottolineando la loro volontà di essere parte attiva della comunità.
Il rimpianto: un gesto che poteva salvare una vita
Nonostante il loro ruolo nella cattura del presunto assassino, i due ragazzi portano con sé un senso di rimpianto. “Se ci fossimo trovati più vicini al luogo dell’aggressione, forse avremmo potuto salvare Sharon,” hanno dichiarato con rassegnazione. Hanno descritto il loro desiderio di intervenire, di poter agire per proteggere una vita, un atto che avrebbe potuto cambiare il destino di quel tragico evento.
“Quando abbiamo incrociato il killer, ci ha solo guardato male ed è andato avanti,” hanno ricordato, rivelando la loro frustrazione per non essere stati nei pressi della scena del crimine. Queste parole evidenziano non solo il dolore della perdita, ma anche la questione più ampia della sicurezza pubblica e della vulnerabilità che può colpire chiunque, in qualsiasi momento.
La narrazione di questa vicenda mette in evidenza il ruolo cruciale che la collaborazione cittadina gioca nella lotta contro il crimine, rimanendo un promemoria di come il senso civico possa contribuire a garantire la sicurezza e la giustizia per tutti.