La tradizione dei manifesti funebri a Napoli offre una finestra aperta sulla vita e sulla cultura cittadina. Queste cronache immortalano, attraverso soprannomi e mestieri, ricordi e relazioni sociali che caratterizzano una comunità. In particolare, nomi e definizioni raccontano non solo chi era il defunto, ma anche il legame che questi aveva con il proprio quartiere. Federico Albano Leoni, ex docente di glottologia, ha dedicato anni alla raccolta di questi manifesti, creando una collezione che ora è accessibile online.
Un linguaggio popolare che identifica la comunità
A Napoli, i manifesti funebri non si limitano a comunicare la morte. Spesse volte, essi diventano un racconto di storie personali, tramandati nei vicoli e nei quartieri. Dalla figura del “siringaio”, colui che amministrava iniezioni o medicine a domicilio, al “calzolaio”, tutti questi soprannomi descrivono professionalità ben note a chi abitava nei dintorni. I parenti del defunto scelgono spesso di utilizzare questi vocaboli per garantire che la notizia arrivi a chi conosceva realmente il morto, anche se magari non con il suo nome di battesimo. Questo fenomeno riflette e rinforza l’importanza del nome popolare, un marchio che rimanda a legami e memorie collettive.
L’interesse di Federico Albano Leoni per i manifesti ha preso vita anni fa, quando iniziò a fotografarli e catalogarli. “Ho voluto indagare il significato profondo di questi soprannomi,” spiega, “spesso rivolti a chi conosceva realmente la persona scomparsa.” Ogni manifesto offre quindi una sorta di indagine socioculturale, rivelando un tessuto di relazioni che legano le comunità fra di loro.
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La collezione di Federico Albano Leoni e la cultura napoletana
Da oltre trent’anni, Federico Albano Leoni ha accumulato una delle collezioni più complete di manifesti funebri napoletani, che attualmente conta circa 3.000 esemplari. Questo patrimonio, raccolto con grande passione, è visibile sul sito del Polo digitale degli Istituti culturali di Napoli. La collezione non è solo un archivio di epitaffi, ma è anche una mostra virtuale che offre uno spaccato sulla cultura e il folklore locale.
Evidentemente, i manifesti assumono caratteristiche specifiche a seconda del contesto socio-culturale. A Napoli, per esempio, possono apparire con lo specifico lavoro del defunto. “Quando viene a mancare una persona come Maria, che vende portogalli, viene spesso definita ‘a purtuallar’,” afferma Leoni. Questo mostra come il mestiere stesso diventi un’identità, un modo per far sapere alla gente chi era veramente quella persona.
Nelle altre parti d’Italia, è raro trovare simili denominazioni legate all’attività professionale, eppure a Napoli è una norma ricorrente. Anche la presenza femminile emerge con forza, creando una differente narrazione. Differente è l’approccio rispetto a quanto avviene in molte altre culture, dove il nome della moglie è spesso assente o meno enfatizzato.
Tradizioni e significati nei manifesti funebri
La tradizione dei manifesti funebri non riguarda solamente il lutto, ma è un modo di preservare la memoria di una vita vissuta. Come sottolineato da Leoni, “è morta Maria detta Maria dint’è fnstell’,” mostra un legame profondo con il quartiere. Questo soprannome veniva dato a una donna che passava il tempo affacciata alla finestra della sua abitazione. La peculiarità di questi nomi, spesso scritti con una grafia errata o inconsueta, rivela una realtà quotidiana che la lingua standard non riesce a rappresentare. Ogni appellativo è un pezzo di storia, che riaffiora nel momento in cui viene affisso il manifesto.
Va detto che la pratica si estende anche al mondo criminale: i manifesti dei camorristi vengono generalmente lasciati esposti più a lungo e, paradossalmente, raccontano una vita spesso segnata da drammi. Esemplare è il manifesto di un giovane ucciso in una sparatoria, dove si parlava di un “gioco tragico”. In simili contesti tali definizioni appaiono inadeguate, poiché la realtà del crimine non lascia spazio a illusioni. Questa ambiguità linguistica amplia il campo di studio e di analisi di un fenomeno che continua a scrivere un’importante pagina della cultura napoletana.