La missione della NASA ha rivelato molto sulle limitazioni e gli effetti della vita in microgravità . Suni Williams e Butch Gilmore si sono trovati a vivere un’odissea spaziale, rimanendo sulla Stazione Spaziale Internazionale per nove mesi, ben oltre gli otto giorni inizialmente pianificati. Questi eventi offrono uno spunto per esplorare in dettaglio i cambiamenti fisiologici che gli astronauti subiscono durante lunghe permanenze nello spazio, con l’attenzione particolare agli studi condotti su Frank Rubio, che ha stabilito un record con 371 giorni in orbita.
La missione inaspettata e il prolungamento della permanenza
La missione originale di Suni Williams e Butch Gilmore doveva durare solo otto giorni. Partiti a giugno a bordo di una capsula Starliner della Boeing, i due astronauti hanno incontrato una serie di problemi tecnici che ha impedito il loro rientro nei tempi previsti. La capsula non ha potuto garantire la sicurezza necessaria per il rientro, costringendo la NASA a organizzare un intervento straordinario. Una navicella SpaceX è intervenuta per recuperarli domenica 16 marzo 2025, rendendo questi eventi un caso di grande interesse per gli scienziati.
Durante questo lungo periodo, i cambiamenti nel corpo umano sono stati scrutati con attenzione. Il professor Mariano Bizzarri, esperto di Medicina sperimentale all’Università La Sapienza di Roma, ha sottolineato come l’esposizione a microgravità per periodi prolungati possa avere effetti deleteri. In un’intervista, ha evidenziato che le linee guida stabiliscono normalmente un limite di sei mesi per la permanenza nello spazio, per garantire la salute degli astronauti. Tuttavia, le esperienze passate di astronauti russi, che hanno superato i 500 giorni in orbita, hanno aperto un dibattito sulla tollerabilità e le conseguenze a lungo termine di tali missioni.
Le conseguenze fisiche della vita nello spazio
La prolungata esposizione alla microgravità comporta effetti diversi sul corpo umano, il più evidente dei quali è una significativa perdita di densità ossea e massa muscolare. Secondo il professor Bizzarri, un astronauta può perdere fino al 15% della massa ossea dopo nove mesi. Questo cambiamento rende il corpo vulnerabile, simulando una condizione simile all’osteoporosi. Questa situazione è aggravata dalla perdita di muscolatura che accompagna la scarsa attività fisica in assenza di gravità . Gli astronauti che hanno completato missioni prolungate spesso necessitano di un’assistenza fisica immediata al loro rientro, a causa della massiccia perdita di forza. La riabilitazione può richiedere da sei mesi fino a un anno, a seconda dell’entità dei danni subiti.
Questi effetti non solo compromettono la mobilità immediata, ma pongono anche domande sulla qualità della vita post-missione per gli astronauti. L’adattamento al ritorno sulla Terra può essere complesso e comporta un lungo percorso di recupero.
Problemi visivi e la salute a lungo termine
Oltre ai danni muscolari e ossei, i cambiamenti visivi sono un altro problema significativo per coloro che trascorrono periodi prolungati nello spazio. Molti astronauti, tra cui i piloti di aviazione, hanno segnalato un deterioramento della vista, un fenómeno che non è ancora completamente compreso. Il professor Bizzarri ha spiegato come le alterazioni visive siano frequenti, dovute a una combinazione di fattori, inclusi gli effetti delle radiazioni.
L’aumento delle radiazioni solari e la riduzione dell’atmosfera possono avere un impatto deleterio sulla salute degli occhi, colpendo soprattutto i tessuti più sensibili. È stato osservato che i danni oculari possono colpire non solo gli astronauti ma anche i piloti da combattimento, particolarmente esposti a condizioni simili. Questi problemi, uniti agli effetti fisici generalizzati della microgravità , rendono cruciale il monitoraggio e lo studio costante degli astronauti dopo le missioni.
L’analisi delle esperienze di Suni Williams, Butch Gilmore e Frank Rubio offre una visione preziosa delle sfide nell’esplorazione spaziale e della resilienza del corpo umano nell’affrontare condizioni estreme.