La recente sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha avuto un impatto significativo sul Grande Oriente d’Italia , segnando una condanna per l’illegittimità della perquisizione della sua sede e il sequestro di documenti sensibili. Questa decisione non solo getta luce sulle attuali politiche di privacy e protezione dei dati, ma solleva anche interrogativi sulla legittimità delle azioni delle istituzioni italiane. La vicenda, risalente al marzo 2017, ha radici più profonde che riguardano le relazioni tra il GOI e le autorità italiane.
I fatti del sequestro del 2017
Il caso ha inizio nel marzo 2017, quando la Commissione parlamentare Antimafia, allora guidata dall’onorevole Rosy Bindi, ha ordinato il sequestro di documenti relativi agli iscritti del GOI. In particolare, furono coinvolti 39 faldoni contenenti i dati di circa 6000 membri nelle regioni Sicilia e Calabria. Questo intervento ha suscitato immediata opposizione da parte del GOI, che si è opposto alla richiesta di divulgazione di questi elenchi.
La posizione del GOI si fondava su due argomenti principali: innanzitutto, non esisteva alcun’indagine formale su membri specifici associati all’organizzazione, e in secondo luogo, la richiesta costituiva una violazione delle normative sulla protezione dei dati personali. Nonostante ciò, l’ordine di perquisizione venne emesso e eseguito dalle forze dell’ordine in modo massiccio e invasivo, durando ben 14 ore. Questa operazione ha coinvolto non solo l’ufficio, ma anche abitazioni private di membri chiave del GOI, sottolineando un atteggiamento aggressivo da parte delle autorità.
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Le violazioni della privacy e la risposta legale
Il Grande Oriente d’Italia, assistito dal professor Vincenzo Zeno-Zencovich, ha portato il caso alla Corte di Strasburgo, contestando non solo la legittimità della perquisizione, ma anche l’assenza di rimedi interni presso le istituzioni italiane. La risposta delle autorità italiane fu deludente: il tribunale di Roma rigettò la richiesta di dissequestro, sostenendo che la Commissione Antimafia godeva di immunità.
La questione ha sollevato serie preoccupazioni riguardo alle garanzie e ai diritti in materia di privacy, considerate le dimensioni del sequestro e il periodo di validità degli atti. La denuncia del GOI ha messo in evidenza come il materiale sequestrato coprisse 27 anni di dati e come non fosse stata presa in considerazione alcuna forma di controllo indipendente o di verifica giudiziale sull’operato della Commissione.
La sentenza della Corte Europea e le implicazioni
Nella sentenza emessa dalla Corte Europea, i giudici hanno stabilito che la perquisizione e il sequestro erano in violazione dell’articolo 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, che tutela il diritto alla vita privata. Da quanto emerso, non ci sono state prove sufficienti a giustificare l’ampiezza e la modalità d’azione della Commissione, e l’ordine di perquisizione è risultato genericamente formulato.
La Corte ha anche rilevato che il principio di immunità invocato dall’Italia non esimeva le autorità da fornire garanzie efficaci contro possibili abusi. Contrariamente a quanto sostenuto, è stata confermata la necessità di un’adeguata supervisione nei procedimenti che coinvolgono organi di controllo come la Commissione Antimafia. Questo ha messo in chiaro che la protezione dei diritti individuali deve essere salvaguardata, anche in situazioni di opposizione alla criminalità organizzata.
La reazione del Grande Oriente d’Italia
A seguito della sentenza della Corte Europea, il Gran Maestro Stefano Bisi ha rilasciato una dichiarazione, esprimendo un mix di sollievo e determinazione. Ha chiarito che, sebbene non ci siano motivi di gioia per la condanna dell’Italia, questa decisione rappresenta un importante passo avanti per la democrazia e i diritti fondamentali in Italia. Bisi ha invitato a riflettere su questa vicenda come un’opportunità per migliorare la pratica giuridica e la protezione dei diritti civili.
Il GOI sta proseguendo le sue battaglie legali per la restituzione della storica sede di Palazzo Giustiniani, sostenendo che la lunga serie di attacchi, fino a quelli risalenti al periodo fascista, non deve più ripetersi. Con una ferma volontà di tutelare i propri diritti e una rilevanza sempre maggiore della sentenza della Corte, il Grande Oriente d’Italia sembra essere intenzionato a continuare la sua lotta per giustizia e legalità.