La corte d'appello di Roma conferma le condanne per minacce a Saviano e Capacchione

La corte d’appello di Roma conferma le condanne per minacce a Saviano e Capacchione

La corte d’appello di Roma conferma le condanne per le minacce rivolte ai giornalisti Roberto Saviano e Rosaria Capacchione durante il processo Spartacus contro il clan dei Casalesi, tutelando la libertà di stampa.
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La corte d'appello di Roma ha confermato le condanne per le minacce rivolte ai giornalisti Roberto Saviano e Rosaria Capacchione durante il processo Spartacus contro il clan dei Casalesi, ribadendo l'importanza della tutela della libertà di stampa e della sicurezza dei cronisti. - Gaeta.it

La corte d’appello di Roma ha emesso la sentenza definitiva nel caso delle minacce rivolte al giornalista Roberto Saviano e alla collega Rosaria Capacchione. Gli episodi, risalenti al 2008, si sono svolti nel pieno del processo d’appello Spartacus, che coinvolgeva il clan dei Casalesi. Queste minacce rappresentano uno dei tanti ostacoli affrontati dai cronisti impegnati nell’inchiesta contro la criminalità organizzata. La decisione della corte consolida le condanne impostate dal tribunale di primo grado, ribadendo la necessità di tutela per chi svolge il mestiere d’informare contro pericoli e intimidazioni.

I dettagli delle condanne per minacce nel processo spartacus

Nel 2008, durante l’appello del processo Spartacus a Napoli, il clima in aula si fece teso a seguito delle minacce in direzione di Saviano e Capacchione. Entrambi i giornalisti erano impegnati in indagini serrate sul clan dei Casalesi, noto gruppo criminale con radici soprattutto in Campania. Il capoclan Francesco Bidognetti e l’avvocato Michele Santonastaso sono stati identificati come responsabili di quelle minacce. La corte d’appello di Roma ha confermato le pene stabilite nel primo grado: un anno e mezzo di reclusione per Bidognetti e un anno e due mesi per Santonastaso. Queste condanne intervengono a sottolineare la gravità delle intimidazioni verso chi scrive di criminalità organizzata, salvaguardando la libertà di stampa contro chi tenta la sopraffazione legale o violenta.

Il ruolo della Fnsi e dell’ordine dei giornalisti nel processo

Le minacce subite da Saviano e Capacchione hanno riscosso l’attenzione non solo pubblica, ma anche delle principali organizzazioni dei giornalisti. La Federazione nazionale della stampa italiana e l’ordine dei giornalisti si sono costituiti parte civile nel procedimento penale. Questa partecipazione formale indica l’impegno delle istituzioni professionali per il riconoscimento e la difesa dei diritti di chi si occupa di cronaca approfondita, spesso rischiando la propria incolumità. L’intervento di Fnsi e ordine dei giornalisti è significativo per ribadire che l’intimidazione contro chi fa il proprio mestiere di raccontare non rimane mai senza risposta legale e morale.

Il contesto del clan dei Casalesi e il processo spartacus

Il clan dei Casalesi è stato al centro di numerose indagini e procedimenti giudiziari, data la sua influenza nella criminalità campana e nazionale. Il processo Spartacus è stato uno dei più importanti, con accuse che vanno dal traffico di droga all’estorsione e all’omicidio. Il processo ha visto impegnati diversi magistrati e testimoni, con al centro la lotta contro il potere dei clan nella zona. Le minacce a Saviano e Capacchione si inseriscono in un contesto dove i tentativi di ostacolare il lavoro di giornalisti e tribunali sono stati continui. Il palco di Napoli, durante l’appello, è diventato un teatro in cui il rispetto delle regole e della legalità è stato messo duramente alla prova. La conferma delle pene da parte della corte d’appello a Roma testimonia la ferma volontà di non lasciare impuniti comportamenti che minacciano la libertà di informazione e la sicurezza dei cronisti.

La tutela dei giornalisti tra cronaca e rischio quotidiano

Il caso di Saviano e Capacchione, che ha ricevuto attenzione nazionale e internazionale, evidenzia ancora una volta come chi fa giornalismo d’inchiesta sia esposto a rischi concreti. Le minacce, specie se legate a clan e gruppi criminali, sono un ostacolo per l’esercizio del diritto di cronaca. La sentenza della corte d’appello di Roma riafferma il valore della protezione per i giornalisti, soprattutto in presenza di atti intimidatori. Non sono rari i casi in cui chi lavora nel settore informa e denuncia viene costretto a vivere sotto scorta o in costante allerta. Adesso, con le condanne confermate, si tende a dare un segnale chiaro contro chi, con intimidazioni, prova a fermare il racconto dei fatti. La lotta al silenzio di chi vuol impedire che vengano raccontate verità scomode passa anche attraverso sentenze come questa.

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