Il procedimento giudiziario in corso sul crollo del ponte Morandi a Genova, avvenuto il 14 agosto 2018 e costato la vita a 43 persone, ha toccato una tappa importante: sono state illustrate le posizioni individuali degli imputati. Tra questi figura Gabriele Camomilla, ex direttore centrale delle Manutenzioni per Autostrade per l’Italia , accusato di aver adottato un approccio insufficiente nella supervisione tecnica del ponte. La requisitoria del pubblico ministero ha messo in luce come la strategia di sorveglianza che Camomilla sosteneva, basata su controlli superficiali, possa aver contribuito alla tragedia.
Il profilo di gabriele camomilla e il suo ruolo nelle manutenzioni di aspI
Gabriele Camomilla ha rivestito un ruolo chiave nel coordinamento delle attività di manutenzione per Aspi, concentrandosi in particolare sui lavori alla pila 11 del ponte Morandi negli anni Novanta. La funzione di direttore centrale imponeva di sovrintendere agli interventi sulle infrastrutture, garantendo il controllo e la sicurezza delle strutture. Nel procedimento in corso, l’accusa sottolinea che Camomilla promuoveva un modello di sorveglianza ridotta, che privilegiava controlli superficiali anziché approfondimenti tecnici completi. Questo metodo, definito dal pm come una “sorveglianza globale limitata e basata sul risparmio di tempo e risorse”, si sarebbe rivelato inadeguato per ponti con problemi strutturali già noti, come il Morandi.
Le critiche dell’accusa al modello di sorveglianza adottato
Secondo il pubblico ministero Marco Airoldi, la tattica difesa da Camomilla poteva forse risultare accettabile per infrastrutture nuove o in buono stato, ma non in presenza di criticità evidenti come corrosione diffusa e difetti nelle iniezioni di cemento. Il ponte Morandi soffriva di problemi che richiedevano ispezioni approfondite per rilevare il degrado interno, un aspetto fondamentale evidenziato anche dal progettista Riccardo Morandi già negli anni Ottanta. L’approccio superficiale delineato da Camomilla non permetteva di valutare lo stato reale della struttura, esponendo l’opera a rischi gravissimi. In questo contesto, l’accusa rileva come la mancata adozione di una sorveglianza tecnica adeguata abbia inciso nella mancata prevenzione del crollo.
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La decisione di non intervenire sulla pila 9 e le implicazioni nella sicurezza del ponte
Un punto critico messo in evidenza nel processo riguarda la cosiddetta pila 9 del viadotto. Camomilla, in qualità di direttore centrale, avrebbe partecipato alle decisioni di manutenzione che escludevano ulteriori interventi su quella pila, ritenuti non necessari. Questa scelta riveste un ruolo determinante, perché la pila 9 presentava segnali di degrado che suggerivano un intervento tempestivo. Il rifiuto di svolgere lavori più profondi su questo punto del ponte contribuisce a spiegare le modalità del cedimento strutturale. Il processo valuta proprio se queste azioni di contenimento e taglio dei controlli hanno compromesso la sicurezza complessiva della struttura.
Le dettagliate contestazioni sulla condotta di Camomilla e di altri imputati sono un capitolo centrale dell’inchiesta che riguarda il crollo del ponte Morandi. La verifica degli strumenti di manutenzione e delle scelte tecniche adottate assume rilievo anche per la futura gestione delle infrastrutture in Italia, per evitare nuovi incidenti simili. La vicenda resta, nel 2025, un esempio importante di come la sorveglianza e la manutenzione delle opere pubbliche possono influire in modo diretto sulla sicurezza e sulla vita delle persone.