Il tema dell’immigrazione continua a sollevare interrogativi su come la società contemporanea affronti questo fenomeno. Nella commemorazione per i 94 migranti che hanno perso la vita nel naufragio del 26 febbraio 2023, monsignor Francesco Savino, vescovo di Cassano all’Ionio e vicepresidente della Conferenza Episcopale Italiana , ha espresso una profonda riflessione sulla questione, sottolineando l’importanza di non dimenticare mai queste tragedie e di abbandonare un approccio puramente securitario.
Commemorazione dei migranti: il naufragio di Cutro
La veglia di preghiera si è svolta sulla spiaggia di Steccato di Cutro, interessata da una tragedia che ha segnato nel profondo non solo le famiglie delle vittime, ma anche l’intera comunità nazionale. Erano passati due anni dal naufragio che ha tolto la vita a decine di persone in cerca di un futuro migliore. Monsignor Savino ha ricordato che ogni oblio nei confronti di tali eventi non fa altro che incriminare la società, trasformando la rimozione della memoria in complicità con quelle forze politiche e sociali che vedono l’immigrazione come una mera questione di sicurezza.
Il vescovo ha invitato a riflettere sulla vita e sulla dignità di ogni migrante, proponendo uno sguardo che trascende le paure insite nel dibattito pubblico. Ogni migrante, ha sottolineato, è prima di tutto un essere umano, portatore di esperienze, culture e speranze. Ignorare ciò equivale a tornare indietro nella storia, riavvolgendo il nastro verso tempi di oppressione e chiusura. In un’epoca dove la mobilità delle persone è diventata inevitabile, è fondamentale abbracciare l’idea che i differenti background culturali possono arricchire la nostra società.
La lotta contro la banalità del male
Monsignor Savino, rivolgendosi a una folla commossa, ha sollevato interrogativi profondi: dove stiamo realmente andando? L’idea della deportazione, la visione di persone in catene, risvegliano l’angoscia di un passato che molti speravano di non rivivere mai più. Ogni riflessione attorno a questi eventi ci riporta all’ “odiosità della banalità del male”, rendendo urgente una presa di coscienza collettiva su ciò che il nostro tempo sta vivendo.
È proprio in momenti come questi che la comunità si trova di fronte a una scelta cruciale: continuare a costruire muri, sia fisici che mentali, oppure investire nell’integrazione e nella valorizzazione di ogni individuo. Da questo punto di vista, è chiaro come l’appello di monsignor Savino non sia solo una richiesta morale, ma anche una sfida pratica. La società deve opporsi all’indifferenza, creando spazi di dialogo e condivisione tra diverse culture.
L’importanza dell’integrazione e dei diritti umani
Il vicepresidente della Cei ha lanciato un forte invito all’azione: diventare “soggetti capaci di capovolgere” la narrazione dominante sull’immigrazione. L’integrazione non deve essere vista come un problema, ma come un’opportunità per costruire una società ricca di diritti e accoglienza. Ogni migrante, ha ribadito, è un fratello o una sorella con cui condividere questa vita, un compagno nella costruzione di un futuro migliore.
Avvicinandosi alla parte finale della sua riflessione, Savino ha parlato direttamente ai superstiti e ai familiari delle vittime, chiedendo perdono per il dolore e l’ingiustizia subita. Le sue parole, cariche di empatia e responsabilità, riconoscono l’impatto delle azioni passate e presenti sul futuro della società. Un appello a non dimenticare, a trasformare il dolore in responsabilità sociale, affinché simili tragedie non trovi più spazio nella nostra realtà.
In un contesto così complesso e sfumato come quello dell’immigrazione, il messaggio di monsignor Savino riecheggia forte e chiaro. La questione richiede una reazione collettiva per riscrivere non solo la cronaca, ma anche il futuro della nostra civiltà.