L’amministrazione Trump ha introdotto un piano per spingere gli immigrati entrati illegalmente negli Stati Uniti a lasciare volontariamente il Paese. L’iniziativa prevede un incentivo economico e un biglietto aereo gratuito verso il paese d’origine, con l’obiettivo di ridurre la presenza di migranti senza documenti sul territorio americano. Questa proposta si inserisce in un clima di confronto acceso sulla politica migratoria e sulle modalità di gestione del fenomeno migratorio da parte delle autorità.
Criticità e proposta alla base dell’auto-deportazione
Donald Trump ha annunciato pubblicamente la possibilità di offrire mille dollari a ogni migrante irregolare disposto a rimpatriarsi volontariamente, in aggiunta a un biglietto aereo messo a disposizione dal governo USA. L’accordo accompagnerà chi sceglierà questa strada attraverso un’applicazione sviluppata dal dipartimento per la Sicurezza interna, che servirà a registrare la decisione e a verificare l’uscita dal territorio statunitense. Solo dopo la conferma dell’effettivo ritorno nel paese d’origine, il migrante potrà ricevere il denaro previsto.
L’intento dell’amministrazione è di consentire una sorta di “auto-deportazione” considerata più dignitosa rispetto ai metodi tradizionali di fermo e detenzione. Chi sceglierà questa via perderà “priorità” nelle liste per arresti e espulsioni ma avrà accesso a un percorso più rapido e assistito, senza l’intervento immediato dell’Ice – l’agenzia federale impegnata nei controlli sull’immigrazione. Le autorità stimano che il processo richiederà circa tre settimane e comprende assistenza per l’acquisto dei biglietti e per la raccolta dei documenti necessari.
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Scontri politici e critiche all’attuale gestione migratoria
Durante la sua dichiarazione alla Casa Bianca, Trump ha attaccato apertamente l’amministrazione Biden, accusandola di aver permesso l’ingresso illegale di milioni di persone negli Stati Uniti. Ha quantificato queste presenze, parlando di circa 21 milioni di persone, di cui una parte significativa, secondo lui, sarebbe criminale. La critica si è focalizzata sulle problematiche legali che ostacolano le espulsioni: i giudici impongono udienze per ogni caso e queste procedure rallentano il ritorno dei migranti nel loro paese. Un numero stimato di cinque milioni di udienze è stato citato come una delle cause principali dell’ingovernabilità del fenomeno migratorio.
Questa posizione si inserisce in un contesto di durezza verso i flussi migratori irregolari, ma riscontra resistenze nel sistema giudiziario che tende a garantire un iter legale prima di ogni espulsione. L’amministrazione Trump considera la sua proposta un modo per ridurre costi e complicazioni legali legate alla detenzione e all’espulsione: tradizionalmente, ogni procedura costa all’incirca 17mila dollari a migrante.
Collaborazioni internazionali per la gestione dei migranti
Parallelamente alla proposta di auto-deportazione, gli Stati Uniti hanno iniziato colloqui con il Ruanda per trasferire migranti espulsi dal territorio americano nel paese africano. Il ministro degli Esteri ruandese, Olivier Nduhungirehe, ha confermato che i negoziati sono in una fase preliminare e non ha fornito dettagli sulle condizioni economiche o pratiche dell’intesa. Il Ruanda ha già avviato accordi simili con altri paesi occidentali, come il Regno Unito, che nel 2022 aveva siglato un patto per trasferire richiedenti asilo africani, poi sospeso dalla Corte Suprema e annullato da successive decisioni politiche.
Il dialogo tra Washington e Kigali si inserisce in una strategia volta a creare partner esterni per la gestione dei migranti espulsi, in cambio di finanziamenti o sostegno politico. Questi accordi, spesso tenuti riservati, permettono agli Stati Uniti di delegare una parte delle espulsioni a paesi terzi. Inoltre, vicino al Ruanda, vi sono anche intese con nazioni come la Danimarca e Israele per organizzare rimpatri o accogliere richiedenti asilo, secondo reportage internazionali.
Controversie e ripercussioni legali sui trasferimenti di migranti
L’accordo più celebre, quello firmato dal Regno Unito con il Ruanda, è costato cifre importanti: oltre 715 milioni di sterline spese in gran parte per garantire la disponibilità del paese africano ad accogliere migranti. Nel Regno Unito quel piano fu giudicato illegale e contestato da vari giudici; alla fine, il governo laburista guidato da Rishi Sunak cercò di riproporlo con una legge che qualificava il Ruanda come “paese sicuro”. Pochi migranti partirono su base volontaria e, dopo la sostituzione del governo, l’accordo venne cancellato.
Negli Stati Uniti è già cominciato un percorso simile, ma la strada appare tutto meno che lineare. Le recenti sentenze federali hanno smantellato o rallentato iniziative molto criticate di deportazione, specie quando basate su leggi risalenti a secoli fa o che catalogano certi migranti come minacce sulla base dell’appartenenza a gruppi criminali.
La strategia statunitense, tuttavia, non si limita ai soli trasferimenti forzati. L’uso di applicazioni tecnologiche per gestire l’uscita volontaria con incentivi economici mostra una volontà di ridurre tempi e costi, limitando anche impatto sociale e conflitti legali.
Questi progetti, che si intrecciano con la delicata situazione geopolitica nei grandi scenari africani, come il conflitto tra Ruanda e Repubblica democratica del Congo, mantengono la questione migratoria tra le priorità, con un peso rilevante anche sul piano internazionale e diplomatico.