I dazi previsti dagli Stati Uniti potrebbero mettere a rischio importanti filiere italiane legate all’export. Alcuni prodotti tricolori risultano molto dipendenti dal mercato americano, dove trovano la maggior parte del loro fatturato. La situazione più delicata riguarda formaggi e vini, ma anche l’olio d’oliva soffre una forte esposizione, secondo un’analisi di Cia-Agricoltori Italiani basata su dati Nomisma e Ufficio studi confederale. Scopriamo quali prodotti rischiano maggiormente e cosa potrebbe accadere in termini di commercio.
Il pecorino romano e la dipendenza dal mercato americano
Il pecorino romano, soprattutto quello prodotto in Sardegna, è il prodotto caseario italiano che poggia più saldamente sull’export verso gli Stati Uniti. Il 57% delle vendite all’estero di questo formaggio vola proprio oltreoceano, rappresentando quasi 151 milioni di euro nel 2024. Un dato che sottolinea quanto il mercato americano sia fondamentale per il pecorino romano. Ma l’eventuale introduzione di dazi al 25% rischia di modificare questo quadro.
La concorrenza americana nei formaggi
Il settore americano dei chips e degli snack vale 2,5 miliardi di euro e rappresenta un concorrente agguerrito proprio per prodotti come il pecorino. Se le tariffe dovessero entrare in vigore, è probabile che i consumatori Usa si orientino verso prodotti caseari più economici o nazionali, anziché importare formaggi italiani più costosi. Questo rischio non riguarda solo la Sardegna, ma l’intero comparto che ruota attorno a questo formaggio. Le imprese italiane dovranno quindi confrontarsi con possibili perdite significative e un mercato difficile da sostituire.
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I vini italiani che più dipendono dal mercato americano
Il vino italiano continua ad essere uno dei principali prodotti export verso gli Stati Uniti, piazza numero uno a livello globale per valore commerciale. Nel 2024 il fatturato dai vini italiani negli Usa si aggira intorno a 1,9 miliardi di euro. Ma la dipendenza varia molto a seconda della tipologia e dell’origine dei vini.
I vini bianchi Dop di Trentino-Alto Adige e Friuli-Venezia Giulia mostrano un’affidamento al mercato USA del 48%, pari a 138 milioni di euro. Questi vini rischiano di pagare un prezzo alto se i dazi si attueranno. Seguono i vini rossi toscani Dop con una quota del 40% sulle esportazioni e un valore di 290 milioni. Anche i vini rossi piemontesi sono esposti per il 31%, con un valore di 121 milioni.
Il caso del prosecco dop
Particolare attenzione si deve al Prosecco Dop, che esporta il 27% della produzione negli Usa, con un valore vicino ai 491 milioni di euro. Questi numeri rappresentano un segmento sensibile alle modifiche tariffarie, dato che i concorrenti offrono prodotti simili a prezzi inferiori.
Infatti, l’introduzione di dazi potrebbe aprire la strada a vini come il malbec argentino, lo shiraz australiano e il merlot cileno, oggi meno competitivi a causa dei costi di ingresso nel mercato statunitense. In questo scenario, una più ampia presenza di prodotti stranieri a basso prezzo potrebbe ridurre la quota di mercato del vino italiano.
Olio d’oliva e liquori: esportazioni significative ma differenze di rischio
L’olio d’oliva italiano esporta verso gli Stati Uniti circa un terzo della sua produzione estera, con il 32% del suo valore diretto oltreoceano. Nel 2024, il fatturato sfiora i 937 milioni di euro. Nonostante il peso rilevante, l’olio si configura come un prodotto meno sostituibile dalla selezione dei consumatori americani. Questo, in parte, limita il danno possibile dall’aumento dei dazi.
Diversa è la faccenda per i liquori italiani, che nell’export verso gli Usa pesano per il 26%, corrispondente a 143 milioni di euro nel 2024. Anche qui c’è una buona presenza sul mercato americano, ma con una minore capacità di offrire alternative sostitutive a basso costo. Dunque, anche in questo comparto una tariffa elevata potrebbe complicare il commercio.
Prodotti meno coinvolti dal mercato usa: formaggi e pasta
Alcuni prodotti italiani mostrano un legame più debole con il mercato statunitense. E’ il caso del Parmigiano Reggiano e del Grana Padano, che nel loro complesso esportano verso gli Usa solo il 17% del valore totale, equivalente a 253 milioni di euro. Questo riduce la vulnerabilità diretta dai dazi, anche se rimane una quota significativa.
Anche la pasta e i prodotti da forno risultano meno legati agli Stati Uniti, con un’incidenza del 13% sull’export totale e un fatturato di oltre 1,1 miliardi di euro. Il mercato americano rappresenta quindi una fetta minore rispetto ad altri prodotti più esposti. In questi casi, l’eventuale aumento delle tariffe potrebbe avere un impatto inferiore, dando alle aziende più margine per trovare nuovi mercati o strategie.
Restano però molte incognite sulle decisioni commerciali future e su come i produttori italiani si adegueranno a eventuai cambi di prezzo e di domanda. Il commercio con gli Stati Uniti resta cruciale e modifiche significative potrebbero modificare la geografia delle esportazioni Made in Italy.