Cassazione chiama: il caso Visibilia e le accuse alla ministra Santanchè nella data cruciale del 29 gennaio

Cassazione chiama: il caso Visibilia e le accuse alla ministra Santanchè nella data cruciale del 29 gennaio

Il caso Visibilia coinvolge la ministra del Turismo, Daniela Santanchè, accusata di truffa aggravata all’INPS. L’udienza in Cassazione del 29 gennaio deciderà sulla competenza territoriale del processo.
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Cassazione chiama: il caso Visibilia e le accuse alla ministra Santanchè nella data cruciale del 29 gennaio - Gaeta.it

Le vicende legate al caso Visibilia, che coinvolgono la ministra del Turismo, Daniela Santanchè, raggiungono un nuovo importante capitolo con la fissazione dell’udienza in Cassazione per il 29 gennaio. Al centro della questione vi è l’accusa di truffa aggravata ai danni dell’Inps, concernente i fondi per la cassa integrazione erogati durante il periodo della pandemia. Questo incontro giudiziario potrebbe decidere il destino del procedimento, stabilendo se le indagini e il processo possono continuare a Milano oppure se gli atti devono essere trasferiti a Roma, riportando il caso alle fasi precedenti all’eventuale rinvio a giudizio.

Le origini della controversia giudiziaria

La complessità del caso si articola attorno alle accuse mosse nei confronti non solo di Daniela Santanchè, ma anche di altri soggetti legati a Visibilia, una società che si occupa di comunicazione. La questione ruota attorno alla presunta truffa nei confronti dell’INPS riguardante i fondi di cassa integrazione. Secondo l’accusa, la condotta illecita avrebbe avuto un carattere “continuato”, coinvolgendo tutti i dipendenti della società.

Il giudice dell’udienza preliminare di Milano, Tiziana Gueli, ha comunicato il 23 ottobre la decisione di confrontarsi con la Cassazione. L’istanza presentata dalla difesa ha sollevato questioni di competenza territoriale, aspetto cruciale in questo contesto legale.

Il dibattito sulla competenza territoriale

La questione della competenza è fondamentale e dibattuta in aula. I legali di Santanchè, Nicolò Pelanda e Salvatore Sanzo, sostengono che il primo pagamento per cassa integrazione sia avvenuto su un conto bancario romano, da qui l’argomentazione che la giurisdizione debba essere di Roma. Dall’altra parte, la Procura di Milano è incline a mantenere il processo nella sua sede, sostenendo che la truffa sia stata perpetrata attraverso una “condotta prolungata” che coinvolge anche pagamenti effettuati a Milano.

La posizione della Procura, difesa dai pm Marina Gravina e Luigi Luzi, indica la necessità di considerare l’intera operazione di pagamento come un’unica condotta, ridisegnando l’interpretazione del reato in termini di un’azione continua e non isolata. La giudice Gueli ha quindi ritenuto “preferibile” accettare tale tesi, decidendo comunque di deferire la questione alla Suprema Corte.

La risposta della Suprema Corte

Il passo decisivo in questo intricato affare è ora nelle mani della Cassazione, che si riunirà “in camera di consiglio” senza la presenza delle parti. Questa modalità rappresenta una prassi nella quale i giudici si esprimono sulle questioni di diritto sollevate, senza necessariamente dover ascoltare le argomentazioni delle parti.

La decisione che ne deriverà potrebbe avere un impatto considerevole non solo sul procedimento in corso ma anche sull’immagine politica di Daniela Santanchè e sul suo ruolo all’interno del governo. I prossimi mesi si preannunciano quindi carichi di aspettative, non solo per gli interessati al caso, ma anche per l’opinione pubblica, che segue con attenzione le vicende legate a figure di spicco della politica nazionale.

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