La situazione a Gaza si complica dopo il fallimento dei negoziati tra Israele e Hamas avvenuti a Doha. Le delegazioni di Tel Aviv e degli Stati Uniti si sono ritirate senza un accordo, alimentando così una crisi umanitaria sempre più grave nella Striscia. In risposta a questo stallo, alcuni paesi europei stanno provando a coordinare un intervento diplomatico per contenere i danni e portare assistenza alle popolazioni colpite.
Fallimento dei negoziati a doha e tensioni diplomatiche
I tentativi di mediazione per un cessate il fuoco tra Israele e Hamas a Doha si sono conclusi con un nulla di fatto. Le delegazioni israeliane e statunitensi hanno infatti abbandonato il tavolo delle trattative, senza riuscire ad accordarsi sulle condizioni da porre. Questa rottura arriva in un momento delicato, in cui le operazioni militari continuano a causare vittime civili e peggiorano le condizioni di vita nella Striscia di Gaza.
Il ritiro delle parti coinvolte dimostra la difficoltà nel trovare un compromesso, soprattutto a causa delle richieste di Hamas considerate troppo elevate da Israele. Le tensioni diplomatiche si riflettono anche sulla partecipazione degli Stati Uniti alle iniziative internazionali, con l’amministrazione statunitense che esclude la sua partecipazione a una conferenza prevista all’ONU organizzata da Francia e Arabia Saudita per discutere della soluzione dei due Stati. Nel contesto del mancato accordo, la crisi umanitaria assume proporzioni preoccupanti e la comunità internazionale si muove per limitare gli effetti del conflitto.
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L’iniziativa di regno unito, francia e germania per spingere sui soccorsi e la pace
Il premier britannico Keir Starmer ha annunciato un vertice fra Regno Unito, Francia e Germania per affrontare l’escalation umanitaria e politica a Gaza. Il 25 luglio, i leader dei tre paesi si confronteranno per valutare misure concrete volte a fermare le violenze e garantire l’accesso al cibo per le persone più vulnerabili. Starmer ha sottolineato la necessità di insistere su Israele affinché consenta l’ingresso degli aiuti nella Striscia.
Il premier ha inoltre ribadito come un cessate il fuoco rappresenti un passo necessario per arrivare a una pace stabile nella regione. Secondo Starmer, la fine del conflitto potrebbe aprire la strada al riconoscimento dello stato palestinese e alla soluzione dei due Stati, tutelando così i diritti e la sicurezza sia dei palestinesi che degli israeliani. Questo approccio diplomatico punta a evitare ulteriori escalation e a creare le condizioni per futuri negoziati più efficaci.
La svolta francese con il riconoscimento dello stato di palestina
In parallelo a questi sviluppi, il presidente francese Emmanuelle Macron ha annunciato un cambio importante nella politica estera di Parigi. Macron ha deciso di riconoscere ufficialmente lo stato di Palestina, con un annuncio solenne previsto per settembre durante l’Assemblea Generale dell’ONU a New York. Questa decisione sostanzia un appoggio diretto alla causa palestinese e si pone come un segnale forte alla comunità internazionale.
La scelta francese segue movimenti analoghi di altri paesi europei come la Spagna, e punta a sostenere l’idea della soluzione dei due Stati. In concomitanza, Francia e Arabia Saudita hanno organizzato una conferenza per affrontare il conflitto israelo-palestinese, tuttavia senza il supporto degli Stati Uniti che hanno rifiutato di partecipare. La decisione della Francia ha suscitato la dura reazione di Israele: il premier Benjamin Netanyahu ha definito la mossa “un premio al terrorismo” e un rischio per la stabilità regionale, accusando la Francia di sostenere indirettamente una minaccia iraniana nella zona.
Accuse americane e motivi del fallimento delle trattative con hamas
Gli Stati Uniti hanno attribuito la rottura dei negoziati alla posizione intransigente di Hamas. Steve Witkoff, inviato speciale dell’amministrazione Trump, ha lamentato l’egoismo del movimento, che non avrebbe voluto accettare alcun compromesso. Witkoff ha dichiarato che, nonostante gli sforzi dei mediatori, Hamas non ha mostrato volontà reale di cooperare, rinunciando così a un cessate il fuoco che avrebbe potuto limitare le sofferenze.
Le opzioni di Washington si concentrano ora su strategie alternative per ottenere la liberazione degli ostaggi e per cercare di stabilizzare la situazione a Gaza. La fine del conflitto e una pace stabile rimangono obiettivi dichiarati, ma si allontanano a causa delle richieste poste da Hamas. Tra queste, il rilascio di 200 palestinesi condannati all’ergastolo e di altri detenuti arrestati dopo il 7 ottobre, in cambio della liberazione di dieci ostaggi ancora vivi. Questa cifra è più del doppio rispetto alla proposta israeliana, che prevedeva il rilascio di 125 prigionieri.
La posizione israeliana e le dichiarazioni di netanyahu
Il governo israeliano ha reagito duramente alla proposta di Hamas e al riconoscimento francese della Palestina. Netanyahu ha ribadito che Israele non cederà a pressioni che metterebbero a rischio la sicurezza nazionale. Ha definito un “errore grosso” interpretare la disponibilità israeliana a negoziare come segno di debolezza. Israele intende raggiungere tutti gli obiettivi della sua campagna militare e riportare a casa tutti i propri cittadini coinvolti nel conflitto.
Il premier ha inoltre associato il riconoscimento francese alla legittimazione del terrorismo, accusando direttamente Hamas di sfruttare la situazione per rafforzare la propria posizione e per creare un nuovo alleato dell’Iran in Medio Oriente.
Proteste e tensioni sociali in israele contro la guerra a gaza
La guerra a Gaza ha provocato manifestazioni interne anche in Israele. Migliaia di cittadini hanno protestato contro le operazioni militari, reclamando la fine immediata della guerra. Le manifestazioni più forti si sono tenute a Haifa, dove la polizia ha arrestate 24 persone, e a Tel Aviv in piazza Habima, con decine di migliaia di partecipanti secondo gli organizzatori.
Gli interventi di polizia durante le proteste sono stati duri, con l’utilizzo di arresti e la rimozione forzata degli striscioni considerati illegali. Tra i partecipanti anche Noam Tibon, generale in pensione delle forze israeliane, che ha definito la guerra inizialmente “giusta” ma oggi trasformata in un conflitto politico guidato da estremisti. Secondo Tibon, l’esercito israeliano si trova invischiato in un bagno di sangue senza una vera ragione di sicurezza, con un peggioramento della situazione nella Striscia.
La combinazione di crisi umanitaria, fallimenti diplomatici e malcontento interno mette sotto pressione tutti gli attori coinvolti nel conflitto, mentre la comunità internazionale cerca vie per contenere i danni e spingere verso una soluzione negoziata.