Un caso di omicidio avvenuto nella periferia di Napoli ha scosso la comunità locale, evidenziando un clima di violenza crescente tra giovani coinvolti nel traffico di stupefacenti. Il delitto, avvenuto il 31 agosto scorso, ha come vittima Raimondino Gennaro, il cui corpo è stato ritrovato carbonizzato in aperta campagna. A orchestrare l’omicidio, secondo le indagini, è stato un baby pusher particolarmente noto per la sua indole violenta. Le indagini sono state condotte dalla Squadra Mobile di Napoli, con il supporto della Direzione Distrettuale Antimafia e della Procura per i Minorenni.
Le indagini sull’omicidio
La Polizia di Stato, il 18 ottobre, ha emesso un’ordinanza di custodia cautelare contro il giovane già detenuto in un Istituto Penale per Minorenni. Le ricerche effettuate dalla Squadra Mobile hanno portato all’individuazione del luogo dell’omicidio: un sottoscala situato in via Comunale Napoli, nel quartiere di Pianura. Questo sottoscala è tradizionalmente utilizzato dai gruppi criminali per attività di spaccio, facendo di esso un punto focale per il traffico di droga nella zona.
Le prime ricostruzioni dell’accaduto indicano che, nel corso della serata del 31 agosto, il minore avrebbe utilizzato un’arma da fuoco per colpire a bruciapelo la vittima, uccidendolo sul colpo. Dopo l’omicidio, insieme ad alcuni complici, avrebbe trasportato il corpo della vittima in un’area isolata per cercare di eliminarne le prove. Qui, il cadavere è stato successivamente trovato carbonizzato, impiegando così una strategia brutale per camuffare il delitto.
Leggi anche:
Motivi e dinamiche del delitto
Secondo le indagini, le motivazioni che hanno spinto a commettere l’omicidio sono da rintracciare in dissidi interni legati alla gestione dello spaccio di sostanze stupefacenti. La disputa riguardava anche la ripartizione dei proventi derivanti dal traffico di droga, un tema caldo tra i giovani pusher che operano in contesti ad alta criminalità . Questi conflitti di interesse sono purtroppo comuni nel mondo dello spaccio, dove la competizione per il controllo del territorio e delle narcomafie può sfociare in atti di estrema violenza.
Le indagini hanno anche messo in luce che il gruppo del baby pusher non condivideva l’esito violento che ha avuto la vicenda, ritenendo che un omicidio avrebbe potuto attirare l’attenzione delle forze dell’ordine e danneggiare l’operatività dello spaccio. Questo scenario testimonia non solo la brutalità del crimine, ma anche la fragilità delle alleanze all’interno della criminalità giovanile.
In questo contesto, la figura del baby pusher emerge non solo come un minorenne coinvolto in attività illecite, ma come un simbolo di una gioventù che, troppo spesso, viene attratta dalla violenza e dalla criminalità in cerca di una vita che credono possa offrire guadagni rapidi e facili.