In un contesto di conflitto civile, il Natale 2023 in Myanmar si presenta sotto una luce drammatica. Nonostante la celebrazione delle festività imminenti, la gioia che solitamente caratterizza questo periodo è sostituita da sofferenza e paura. Molti civili sono costretti a lasciare le loro case e cercare rifugio in esperienze di vita precarie, mentre i leader religiosi si trovano a vivere e operare accanto ai bisognosi, cercando di portare un po’ di conforto in mezzo al caos.
Le cicatrici della guerra: la testimonianza di padre Bernardino Ne Ne
Padre Bernardino Ne Ne, un sacerdote di Loikaw, attualmente a Yangon, ha descritto la situazione in Myanmar come “una ferita aperta”. Con l’approccio delle festività natalizie e del significativo Anno santo del Giubileo, il sacerdote sottolinea che la popolazione locale non riesce a vivere questo momento con la stessa serenità di anni passati. La guerra civile, che ha avuto inizio nel febbraio del 2021 dopo un colpo di stato militare, ha lasciato il segno sia emotivo che sociale. Le famiglie si trovano a fronteggiare incertezze e lutti, mentre la vita quotidiana continua apparentemente normale nella capitale e in altre città principali, sotto il controllo della giunta militare.
Tuttavia, le regioni periferiche, come quella di Kayah, in cui si trova Loikaw, vivono una realtà ben diversa. Qui, gli sfollati interni hanno ormai superato i tre milioni, costretti a lasciare le loro abitazioni e rifugiarsi in campi o luoghi improvvisati, spesso in condizioni di estrema vulnerabilità. Le parole di padre Ne Ne rivelano la disperazione e il bisogno di pace in un contesto segnato dalla divisione e dall’instabilità.
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A Yangon, invece, la vita sembra continuare a scorrere. Le chiese si riempiono di fedeli che partecipano ai riti religiosi, anche se i temi politici rimangono un tabù negli spazi spirituali. Le funzioni liturgiche, seppur cariche di tensione, non vengono interrotte: i sacerdoti continuano a celebrare, sperando nella pace. Tuttavia, i timori riguardo ai pattugliamenti militari e alla sicurezza dei partecipanti creano un’atmosfera tesa. Le celebrazioni della vigilia di Natale, infatti, sono programmate in anticipo per evitare la notte, quando il controllo militare si intensifica.
Padre Ne Ne, parlando della sua comunità, ha permesso di intravedere un piccolo spiraglio di luce, sottolineando l’importanza della preghiera e della speranza. “Celebriamo i Sacramenti e spiritualità nonostante tutto”, afferma con rassegnazione, mentre si prepara a vivere il Natale in un clima di incertezze.
Le zone di conflitto aperto: la drammatica condizione degli sfollati
In contrasto con la vita di Yangon, la situazione nella diocesi di Loikaw è drammatica. Gli attacchi aerei e gli scontri armati perpetrati dall’esercito birmano continuano a seminare morte e distruzione. Molte persone sono costrette a scappare, cercando rifugio nelle regioni montuose o presso campi profughi improvvisati. La paura di attacchi notturni rende questa esperienza insopportabile. Padre Ne Ne ha espresso la sua tristezza per il fatto che le parrocchie che un tempo accoglievano i fedeli ora sono deserte. Solo nove di trentanove parrocchie sono ancora attive, un duro colpo per la vita spirituale della comunità locale.
Il sacerdote ha potuto osservare che gli sfollati vivono una vita di precarietà nei campi. Alcuni di questi rifugi ospitano fino a 200 persone, nel disperato tentativo di ricostruire un senso di comunità in mezzo alla tempesta. La sua missione pastorale si è trasformata in un sostegno umano e spirituale per coloro che hanno perso quasi tutto, diventando un simbolo di speranza e resistenza in tempi di sconforto.
La difficile situazione del Vescovo di Loikaw e del futuro della comunità
La condizione di chi ricopre ruoli di leadership religiosa, come il Vescovo Celso Ba Shwe, non è meno drammatica. Dopo che l’esercito birmano ha occupato la cattedrale di Cristo Re, il Vescovo si trova costretto a vivere lontano dalla sua comunità e dalla sua sede. Un Natale lontano dalle mura che dovrebbero rappresentare la sicurezza e la spiritualità è un duro colpo per il Vescovo e per tutti i sacerdoti che hanno vissuto in quella diocesi.
Le trattative per la riconsegna dei luoghi di culto appaiono difficili e cariche di incertezze. L’area è diventata un’installazione militare, e le possibilità di tornare in modo sicuro sono appese a un filo. L’integrità degli edifici, come le strutture civili, è stata compromessa, e resta da vedere se e quando sarà possibile riprendere le attività pastorali nel territorio. La speranza di un ritorno alla libertà di movimento e alla restituzione della cattedrale sembra legata a un delicato equilibrio di forze politiche, senza il quale la vita spirituale della comunità rischia di essere messa a dura prova.
In questo scenario drammatico, il Natale si configura non solo come un momento di celebrazione, ma anche come una richiesta profonda di pace e giustizia per tutti i popoli in Myanmar, a cui si unisce una comunità stanca ma resiliente.